Sigarette, ultimo racconto selezionato dalla masterclass Vita d'Altri

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Sigarette, ultimo racconto selezionato dalla masterclass Vita d’Altri

Sigarette, un racconto di Attilio Privitera I anno Scuola Biennale di Scrittura e Storytelling Viagrande Studios

Sigarette, di Attilio Privitera è l’ultimo emozionante racconto che proponiamo in questa che vuole essere una rassegna di letture di racconti scritti dagli studenti della Scuola Biennale di Scrittura e Storytelling. Vita d’altri è una masterclass pensata per mettere gli studenti della Scuola Biennale di Scrittura e Storytelling di Viagrande Studios prima in contatto con l’improvvisazione della creazione attraverso oggetti non loro. Poi – immergendosi nella costruzione del racconto e del primo editing – i testi da loro realizzati sono stati letti e valutati da tre esperte del settore. Il racconto che leggerete, Sigarette, è stato valutato dalla giornalista, editor, scrittrice e insegnante Alice Titone.

Sigarette, di Attilio Privitera

Sembrava non fossero trascorsi quattordici mesi. L’aloe stava ancora nel suo angolo, un po’ sofferente, mentre alcuni tulipani non ce l’avevano fatta: la mancanza di provviste li aveva inesorabilmente uccisi. Invece non si possono uccidere gli odori; quelli li conserviamo nel cassetto di una scrivania, a pochi millimetri dall’ippocampo e, ogni volta che li respiriamo di nuovo, apriamo quel cassetto e ciò che accade è agrodolce, come fette di mela inzuppate nel limone. L’odore di una casa non cambia, nemmeno in quattordici mesi; apri le finestre ed eccolo lì, hai aperto anche il cassetto. 

In camera da letto, la carta da parati aveva iniziato a staccarsi; quando stavo disteso la osservavo, alla ricerca di una bocca che mi potesse raccontare com’era vivere in una casa siciliana tanti anni fa, quando la televisione non andava ventiquattro ore su ventiquattro e i telefoni avevano ancora quel suono metallico di bossoli che cadono a terra. Il globo dorato era sempre lì, sopra un centrino di poco valore; sollevai delicatamente l’emisfero boreale: dentro c’era un’ultima sigaretta.

Sigarette, un racconto di Attilio Privitera I anno Scuola Biennale di Scrittura e Storytelling Viagrande Studios
Sigarette, un racconto di Attilio Privitera I anno Scuola Biennale di Scrittura e Storytelling Viagrande Studios

Il globo mostrava su di sé tutti i segni del tempo; il metallo era pieno di graffi e aveva iniziato a opacizzarsi. Era di mio nonno, com’era suo questo impolverato appartamento. Tra me e lui c’era un legame delicato come le folate del mezzogiorno, fatto di poche parole e piccole attenzioni; aveva delle mani inaspettatamente lisce e morbide e degli occhi velati dalla malinconia, che sembravano sempre un po’ lucidi. Quando ero piccolo mi portava a Mondello, a guardare un po’ il mare, ed era sempre così concentrato che sembrava quasi lo stesse vedendo per la prima volta. Eppure, mio nonno GG, com’era scritto sul fondello del suo orologio, o Giuseppe Giannola, per intero, di cose ne aveva viste tantissime, anche alcune a cui non si vorrebbe mai assistere.

In Sicilia, nel 1943, l’atmosfera era tutt’altro che fiori di zagara e pale di fichi d’india; a Piano Stella profumi e colori mediterranei erano un vago ricordo. Nonno Giuseppe aveva ventisei anni e le narici bruciate dalla cordite; non era mai stato un fascista, gli piaceva solo giocare a calcio balilla, come tutti i giovani cresciuti a cavallo tra le due guerre. Al fronte, aveva dato inizio a una relazione complicata con le sigarette che, nelle notti lunghe e troppo fredde, riscaldavano dentro, come fossero donne vestite da sottanine di carta; praticamente ogni soldato, fumatore o meno che fosse, prima o poi ne accendeva una e ascoltava il crepitio del tabacco che bruciava in un’irreale quiete che, in tempo di guerra, somigliava proprio a una conquista.

Il globo era in un campo base poco distante da Acate e ai soldati, a fine giornata, veniva dato il permesso di prendere una sigaretta; le sigarette del globo erano le più buone: avevano addirittura il filtro.

“Sigarette di Attilio Privitera, viaggia su due binari diversi, per metà siamo durante la seconda guerra mondiale e per metà nel presente, insieme a due giovani che si amano, ma non troppo.”– Manuela de Quarto

L’ingranaggio Roma-Berlino faticava a ruotare soprattutto dopo che, a Washington, avevano capito che la Sicilia era una parte importante del meccanismo; migliaia di soldati tedeschi furono inviati tra le campagne dell’isola con un solo scopo: costi quel che costi, a Messina non si sarebbe dovuta sentire una singola parola in inglese. Tra loro c’era un ragazzone biondo dalla grazia inaspettata; quando correva per mettersi al riparo, sembrava dovesse spiccare un salto da un momento all’altro, per staccarsi da terra e non tornarci mai più; si presentava a tutti come Ludwig ma preferiva essere chiamato Luz.

Nonno Giuseppe lo notò una notte; viaggiava tra meridiani e paralleli con la consapevolezza di chi sa che, di tutto il mondo che esiste, spesso ci si trova nel posto sbagliato, in un momento ancora più sconveniente. Quella notte, i crepitii delle sigarette si erano raddoppiati ma nonno e Luz non scambiarono una parola; si erano guardati negli occhi e avevano raggiunto un tacito accordo. 

igarette, un racconto di Attilio Privitera I anno Scuola Biennale di Scrittura e Storytelling Viagrande Studios
Sigarette, un racconto di Attilio Privitera I anno Scuola Biennale di Scrittura e Storytelling Viagrande Studios

Quando le giornate si somigliano tutte, col passare del tempo, s’ingrigiscono. Proviamo a ricordarle ma non ci riusciamo e intere settimane iniziano ad essere descritte da un unico evento, mentre dimentichiamo la nostra vita senza farci troppo caso. L’incontro di nonno con Luz lo aveva risvegliato da un torpore emozionale che, in guerra, è fondamentale se non si vuole finire in un fosso prima del dovuto; il silenzio del tedesco gli aveva fatto capire che, lui, era uno di quelli che riusciva ad osservare la visione d’insieme: i soldati erano solo topolini dentro una ruota.

Sperava di trovarlo davanti al globo ma si ripeteva che non era speranza quella che sentiva perché affezionarsi a qualcuno, sapendo che sta per morire, è una cosa molto nobile e in guerra la nobiltà conta molto poco. I due si re-incontrarono una sera. Luz stava ritto davanti al globo, sfiorandolo leggermente con un dito quando, d’improvviso, si bloccò: puntava gli Stati Uniti d’America; poi rivolse lo sguardo verso nonno e pronunciò tre parole.

‹‹Mein freund, Jesse.[1]››

Lui non capì molto, alzò solo un po’ gli occhi per far intendere che lo aveva ascoltato; il tedesco prese due sigarette con filtro e gliene porse una. 

“Grazie!”, rispose nonno raddoppiando tutte le consonanti.

Luz contraeva le labbra anche quando era il mezzogiorno a fumare e, di tanto in tanto, si sfregava gli occhi con la manica della giacca; sembrava avere il naso congestionato e sussultava come avesse un esserino dentro al petto che lo prendeva a pugni sullo sterno; nonno non era bravo in queste cose ma, da uomo di poche parole, sapeva che c’erano momenti in cui dire qualcosa non avrebbe fatto alcuna differenza. Posò una mano sulla spalla del tedesco e notò che il viso gli si era riempito di rughe; un istante dopo una goccia bagnò il suo stivale, anche se non pioveva da due mesi e mezzo; fu l’ultima volta che i due si incontrarono.

Sigarette, è un racconto crudo, articolato e ben strutturato si è distinto all’interno della masterclass Vita d’Altri

Trascorsero pochi giorni quando Luz non saltò abbastanza in lungo per mettersi al riparo e si accasciò sul ciglio della strada; nonno capì solo molti anni dopo, quando la televisione andava ventiquattro ore su ventiquattro che, quel leggiadro ragazzone biondo, saltava così bene perché aveva vinto un argento olimpico nel 1936. A lui, invece, spararono tre volte: aveva tolto tutti gli orologi in casa perché gli ricordavano le prime due. Stava immobile, sotto i cadaveri; continuava a sentire il ticchettio del suo orologio a corda, quello con scritto GG sul fondello, e i ticchettii delle braccia attorno a lui; la morte lo stava accarezzando e nonno stava lì, sotterrato, in attesa di darle un pugno.

Lo fece e ricevette una seconda carezza, di striscio, alla testa; erano trascorse due ore e mezza ma gli americani, è cosa nota, se decidono di fare una cosa meglio di tutti, la fanno meglio di tutti, anche fosse fucilare settantasei uomini.

Svenne e, al suo risveglio, i ticchettii c’erano ancora ma non vi era alcuna traccia di fauna straniera; barcollò fino al campo per recuperare il globo, poi sentì un rumore sordo e una fitta lancinante: la terza volta. Una pattuglia inglese gli aveva perforato un polmone, trapassandogli la spalla da parte a parte. Caddero entrambi, uno accanto all’altro; li ritrovarono degli statunitensi, con una Croce Rossa sulla spalla; mio nonno non smise di stringere a sé il globo sin quando non arrivò davanti al suo comò, per metterlo sopra un centrino di poco valore.

“Sigarette è un racconto intenso, ricco di immagini, non comune”– Alice Titone

La prima volta che la vidi stava fumando una sigaretta; aveva due tette gigantesche e gli occhi velati di tristezza; non me ne innamorai subito ma pensai che mi sarebbe piaciuto conoscerla, non saprei dire se spinto dalla libido o dalla malinconia. Tempo dopo ci ritrovammo in un porto lasciato all’abbandono e, quando mise le mani sulla fibbia della cintura, mi paralizzai. Non sapevo proprio come dirglielo ma non avevo molto tempo, quindi lo dissi e basta:

‹‹Sono vergine››

‹‹Anche io››

E mi abbassò i pantaloni. Non me lo stavo godendo nemmeno ma, per la prima volta nella vita, avevo fiducia che qualcuno mi avrebbe trattato con delicatezza, anche se la sua mano mi faceva esondare come un fiume; mi sciolsi sul sedile per mezzo minuto buono.

‹‹Puoi prendere le salviettine, sono dentro al portaoggetti›› 

Le trovò e, senza che glielo chiedessi, iniziò a pulire entrambi: era la prima volta che aveva cura di me.

Mi fidavo così tanto di Rebecca che cominciai a condividerle la vita; provavo sempre quel timore di fare cazzate o dire cose inopportune ma, in cuor mio, pensavo che sarei caduto sempre in piedi. Conservavamo la nostra indipendenza e non ci tenevamo nemmeno per mano; camminavamo fianco a fianco e, se uno dei due avesse passato un brutto periodo, gli sarebbe arrivato un calcio in culo come a dire “non ti prenderò in braccio ma ci tengo che tu vada avanti”. 

Sigarette, uno dei racconti valutati come “editabili” da Alice Titone

Le domeniche durano solo mezza giornata, eppure lei riusciva a farmele apprezzare. Fu proprio una domenica che decidemmo di andare a Cefalù. Era una bella mattinata d’aprile, una di quelle che richiederebbero un cambio di stagione istantaneo o una cabina armadio da celebrità; stavamo seduti in spiaggia mentre il sole ci prendeva a pugni, quando decisi di togliermi la felpa. Rebecca pensò che fosse proprio una mossa intelligente; iniziò a sfilare le braccia dal maglione a collo alto, spinse in avanti il busto e rivelò un top di cotone che svolgeva il lavoro di una federa quando prova a contenere un cuscino troppo grande. Il petto si muoveva come il mare sulla battigia; mi appoggiai piano a lei e, con un orecchio le ascoltavo dentro, con l’altro sentivo le onde: sarei potuto morire in quel momento, senza farci troppo caso.

Ci stavamo prendendo il lusso di non baciarci, preferendo chiacchierare saltando da un argomento all’altro per dimenticarci poi da dove eravamo partiti; io, però, non volevo dimenticare quei momenti e desideravo che anche a lei non accadesse. Le comprai un grande foulard, cosicché potesse coprirsi le spalle nel caso in cui si fosse alzata la brezza: era di seta rossa, decorato da pale di fichi d’india.

Ricordo quella giornata come la giornata delle “aperture”; a Cefalù si apriva la stagione turistica, Rebecca aveva aperto le braccia e io le avevo aperto il mio cuore; la sera stessa, io le aprì la porta di casa di nonno e lei decise di aprire le porte per l’origine del mondo. La carta da parati era ancora tutta intera e io cercavo la sua bocca, che non mi raccontava più dei ricordi da bambina, ma veniva morsa per lenire l’angoscia dell’attesa. Poi Becca si abbassò poco e iniziai a sentire il caldo umido della stagione estiva.

“Le comprai un grande foulard, cosicché potesse coprirsi le spalle nel caso in cui si fosse alzata la brezza: era di seta rossa, decorato da pale di fichi d’india”

Sorridevo come uno sciocco, lei era una girandola che, tenendo gli occhi chiusi per lasciarsi accarezzare meglio, accoglieva e soffiava via il vento. Un quadretto della vergine col bambino ci osservava da sopra la spalliera e lei, di tanto in tanto, mi chiedeva “ti sta piacendo?”; non era una domanda retorica, voleva solo prendersi cura di me nel miglior modo possibile. Ero così felice che non venni. decisi di baciarle le labbra finché non l’avrei sentita soddisfatta, perché anch’io desideravo prendermi cura di lei.

Sigarette, un racconto di Attilio Privitera I anno Scuola Biennale di Scrittura e Storytelling Viagrande Studios
Sigarette, un racconto di Attilio Privitera I anno Scuola Biennale di Scrittura e Storytelling Viagrande Studios

Quando finimmo, come accade in ogni storia d’amore che si rispetti, mi chiese se volessi una sigaretta e io le risposi di aprire il globo che stava sul comò: rimanemmo a parlare sino alle luci dell’alba. Non avevo mai permesso a qualcuno di avvicinarsi al globo ma conoscevo il tocco delicato di Rebecca e mi fidavo che avrebbe trattato quell’oggetto con lo stesso rispetto di nonno Giuseppe.

In due anni e otto mesi non so quante volte lo aprimmo e, di certo, non volevo pensare a quanti respiri mi sarebbero serviti per pulire i polmoni dalle sigarette; so soltanto che i mesi passavano e ogni giorno ci dicevamo una parola in meno. Arrivammo al punto di sentire il crepitio del tabacco che bruciava lento; non aveva più senso stare insieme ma questo riesco a dirlo solo adesso, che sono passati quattordici mesi. 

La Scuola Biennale di Scrittura e Storytelling presto ripartirà con le selezioni del prossimo anno accademico, segui i nostri account per restare aggiornati

Quella sera mi confessò che aveva ricevuto un’offerta di lavoro all’estero e iniziò a blaterare riguardo opportunità, bisogni, priorità e un sacco di altre cose a cui decisi di non fare troppo caso, preferendo tapparmi le orecchie. Becca diceva sempre che, chi si ama davvero, somiglia alla doppia elica che compone un patrimonio genetico: due acidi legati tra loro che, collaborando, danno vita a qualcosa di unico e nuovo. Nel caso in cui uno dei due smetta di essere legato all’altro, sorgono complicanze che, nel freddo e cupo mondo al di là di queste quattro mura, vengono curate nei reparti di ogni continente. Le relazioni non fanno eccezione; anche un problemino insignificante, se trascurato, può diventare un male incurabile e gli acidi, per definizione, formano legami ma sanno anche corrodere i materiali più resistenti. Per le relazioni malate non esistono reparti e ospedali.

L’unica cura è il riposo, preferibilmente lontano da dove si è stati, in un posto tranquillo, dove nessuno apre bocca e possiamo ascoltare per bene ciò che cercavamo di dirci da tempo. Non potevo immaginare che quella sarebbe stata l’ultima notte che avremmo passato assieme; lei forse cercò di farmelo capire, forse mi diede qualche indizio, ma continuavo a tenere impaurito le orecchie tappate. La mattina dopo stiracchiai la mano verso il suo lato del letto trovandoci soltanto un flebile tepore aggrappato alle lenzuola. 

Attorno a me, tanti oggetti inanimati sussurravano parole dalle forme sgraziate e suoni conosciuti. Due ballon macchiati di rosso giacevano ancora sul tavolo, davanti una bottiglia semivuota; in bagno, l’odore delle sue “onde perfette” era rimasto aperto sopra il ripiano della finestra. Avvicinai le narici al flacone e, stringendolo delicatamente, sentì lo stomaco attorcigliarsi, come volesse soffocarmi. Tornai in camera da letto; il foulard era ancora piegato ordinatamente, sopra il letto sfatto, poi mi avvicinai al comò e sollevai l’emisfero boreale, prendendo l’ultima sigaretta. Una goccia bagnò la punta della mia scarpa: pioveva ancora dopo quattordici mesi.


[1]    Il mio amico, Jesse.

Sigarette, ultimo racconto selezionato dalla masterclass Vita d’Altri ultima modifica: 2023-03-29T08:13:29+02:00 da Redazione

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