A tu per tu con un pianista: la musica tra emozioni e fatiche

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INTERVISTE Viagrande Studios

A tu per tu con un pianista: la musica tra emozioni e fatiche

Intervista al Pianista Rosario Di Leo, a cura degli studenti della scuola biennale di scrittura e storytelling per il progetto "A tu per tu con gli eroi di tutti i giorni"

Intervista al pianista Rosario Di Leo, a cura di Rosalba Laganà e Gaia Loria, studentesse della Scuola Biennale di Scrittura e Storytelling di Viagrande Studios. L’intervista si instaura all’interno del progetto a tu per tu con gli eroi di tutti i giorni

Dalle parole di un racconto ai tasti di un pianoforte: scrittura e musica sono due arti accomunate dall’intensa potenza espressiva. È da questo parallelismo che noi studenti, della Scuola biennale di Scrittura e Storytelling di Viagrande Studios, abbiamo preso spunto per esprimere le nostre curiosità sulla professione di musicista. Abbiamo intervistato una figura in particolare: quella del pianista.

Abbiamo quindi intervistato Rosario Di Leo, pianista e compositore siciliano classe 1980. La sua musica rappresenta la sintesi di un mondo musicale complesso: suoni jazz, elementi di prog-rock e trame sonore cinematografiche, e anche melodie classiche. La passione di Rosario per la musica nasce un Natale di molti anni fa, quando aveva dieci anni e il padre (musicista appassionato, anche se non professionista) decise di regalargli una diamonica, come quella che in molti abbiamo usato durante gli anni della scuola media. Su questo piccolo strumento inizia a riprodurre tutte le melodie che sente in televisione. Da qui il rapido passaggio alle tastiere e al pianoforte, lo strumento da cui Rosario dice di «essere stato scelto».

Intervista al Pianista Rosario Di Leo, a cura degli studenti della scuola biennale di scrittura e storytelling per il progetto "A tu per tu con gli eroi di tutti i giorni"

Iniziamo la nostra chiacchierata partendo proprio dal paragone tra l’esperienza della scrittura e quella della composizione al pianoforte. 

Nella scrittura ci sono svariati approcci, alcuni autori sono più pragmatici e ad esempio iniziano a scrivere seguendo una scaletta già preimpostata, mentre altri preferiscono scrivere senza una “preparazione”. Quando si compone al pianoforte, come avviene la creazione di una nuova idea musicale?

«Vorrei innanzitutto sfatare il mito del compositore che crea solo in determinate circostanze o solo se è presente un’atmosfera che possiamo definire “ottimale”, magari davanti a un bel panorama o nel silenzio della notte. Nella mia esperienza l’atto creativo semplicemente accade, addirittura accade proprio nei momenti in cui non me lo aspetto. Può succedere ad esempio mentre sto studiando un brano o mentre sto preparando un esercizio. Per me l’atto creativo non può essere programmato: se lo programmi o ti predisponi per creare accade spesso che non arrivi nulla. L’input può arrivare invece anche quando sei libero dal pensiero di creare: la composizione musicale è un sentire che viene assecondato».

Dalla composizione come atto solitario agli spettacoli live: quale è il rapporto del pianista con il palco e come si acquisisce la sicurezza nel riuscire a fronteggiare le esibizioni in pubblico?

Intervista al Pianista Rosario Di Leo, a cura degli studenti della scuola biennale di scrittura e storytelling per il progetto "A tu per tu con gli eroi di tutti i giorni"

«Credo che questa capacità derivi da un mix di elementi che riguardano sia l’indole del singolo pianista sia la padronanza dello strumento, che inevitabilmente si acquisisce con il tempo e l’esperienza, così come l’abitudine ad esibirsi in pubblico. Io lo faccio da quando avevo dodici anni, eppure ogni volta che sono sul palco tremo. Penso che questo sia legato anche al valore che si attribuisce a ciò che si fa».

In ogni esibizione c’è la possibilità di sbagliare: come si approccia un pianista all’errore? 

«Nella musica jazz e in generale nella musica improvvisata, l’errore in senso stretto non esiste, perché si può trasformare in un’idea, in un’opportunità. In pratica, l’errore può rappresentare l’apertura di un nuovo spiraglio, considerando comunque alla base la capacità di gestire l’“errore”. Col tempo si impara cioè a trasformare una lacuna in opportunità. Nella musica classica invece generalmente il pianista non crea nulla ma interpreta un testo, quindi l’aspetto della performance è più pregnante e l’errore può essere più percepibile alle orecchie del pubblico. In questo contesto si tende a paragonare il brano suonato dal pianista con l’originale, e quindi può accadere che anche una singola nota “presa male” rovini l’esecuzione».

Calandoci nel contesto dell’improvvisazione, come nasce e si struttura la creazione estemporanea di un brano insieme ad altri musicisti? Per riuscire bene occorre che vi sia una sintonia naturale con gli altri colleghi oppure questo aspetto della performance è semplicemente frutto di esercizio e studio?

«Anche in questo caso ci sono due meccanismi diversi che entrano in azione: da una parte lo stare bene con le persone con cui sei sul palco aiuta ad essere più naturali, dall’altra la buona riuscita di un’improvvisazione è comunque qualcosa a cui si approda dopo tantissimo studio».

Parliamo adesso di talento e di attitudine musicale: l’arte musicale è un dono innato o è possibile in qualche modo compensare grazie alla passione e allo studio?

«Picasso disse che “Il dieci per cento di quello che vedete in un’opera è talento, il restante novanta per cento è sudore”. Naturalmente le due cose vanno di pari passo: sicuramente non esiste artista senza talento, ma allo stesso tempo non esiste un grandissimo artista senza sudore. Il grande musicista per me è colui che accompagna il talento a una ricerca quasi ossessiva nel migliorarsi».

Il pianista è necessariamente un compositore, o viceversa il compositore è necessariamente un pianista?

«Sono due profili diversi. Il pianista è una persona che suona il pianoforte, ma non necessariamente compone musica. Il compositore è una persona che compone musica e, quindi, non è necessariamente un pianista, perché può comporre anche con altri strumenti. Tuttavia spesso nella musica classica il compositore è anche pianista, e ciò per una ragione tecnica: il pianoforte, con i suoi 88 tasti, è lo strumento più completo, per cui è come se avessimo un’intera orchestra nelle nostre mani».

Ci piacerebbe approfondire anche i “retroscena” della professione del pianista: la scelta di dedicare la propria vita alla musica può implicare rinunce in altri ambiti?

«Sicuramente si rinuncia ad avere una vita ordinata, “comoda”. La scelta di fare il musicista – soprattutto in Italia – è una scelta coraggiosa perché implica la rinuncia a una serie di possibilità pratiche che in altri ambiti lavorativi sono invece d’abitudine. Ad esempio, poter programmare le ferie o gli impegni personali. Se fai il pianista sei consapevole che ti puoi trovare ad esempio a dover rimandare l’uscita con la fidanzata per cogliere l’opportunità di un concerto».

Intervista al Pianista Rosario Di Leo, a cura degli studenti della scuola biennale di scrittura e storytelling per il progetto "A tu per tu con gli eroi di tutti i giorni"

Come pianista e compositore hai studiato e lavorato sia in Italia che all’estero. Hai notato differenze nell’approccio che i vari Stati mostrano verso la musica da pianoforte e i suoi musicisti? 

«Ritengo che gli altri Stati europei mostrino una maggiore attenzione rispetto, non solo alla musica da pianoforte, ma rispetto alla musica e all’arte in generale. Ho avuto modo di studiare a Parigi, avendo vinto un bando di concorso per frequentare il secondo anno di università nella facoltà di Musicologia alla Sorbona. Credo che lo Stato francese abbia una considerazione maggiore della figura del musicista rispetto allo Stato italiano. Questo è dimostrato da tutte le azioni che le istituzioni intraprendono a favore e in sostegno degli artisti, anche dal punto di vista economico. In Italia invece la figura del musicista è controversa, nel senso che il tuo ruolo e la tua professione sono legittimati solo se sei molto famoso. In sintesi, purtroppo spesso in Italia la musica viene considerata come un’opzione di contorno».

Dunque che tipo di realtà si trova di fronte un giovane che in Italia tenta le prime esperienze lavorative in ambito musicale?

«La prima cosa che mi viene in mente è la difficoltà per chi organizza le manifestazioni musicali. Questo perché la tassazione italiana è eccessivamente elevata, e ciò si ripercuote sulle concrete possibilità di lavoro offerte ai musicisti. Inoltre a mio avviso in Italia non esiste una visione chiara di questo profilo dal punto di vista lavorativo. Non esiste cioè un modo per inquadrarlo esattamente, e quindi spesso fare musica non viene considerata una professione, bensì un’attività di contorno».

Quando si parla di valorizzazione del patrimonio culturale, spesso si pensa solo ai siti archeologici o ai monumenti. Invece, il patrimonio culturale è fatto anche dai musicisti, dagli attori, da coloro cioè che vivono di arte. Perché in Italia c’è il pregiudizio che un musicista o un attore, finché non va in TV, non è un vero lavoratore?

«Io credo che questa convinzione faccia parte del DNA dell’italiano medio. In Italia la musica non è dappertutto. In altri Stati la musica si studia approfonditamente nelle scuole, molte persone hanno almeno uno strumento a casa e c’è una considerazione di quest’arte come qualcosa di fondamentale. Inoltre, in Italia spesso si tende a dare maggiore valore alla musica che viene dall’estero, rispetto alla musica italiana. Citando le parole del filosofo e psicoanalista Umberto Galimberti “nell’era della tecnica e del denaro, tutto ciò che non rientra in questi paradigmi non serve a nulla”. Questa visione rispecchia proprio quello che accade in Italia con la musica».

Parlaci di un momento in cui hai percepito che la musica che produci abbia creato valore per il pubblico.

«Mi viene in mente un episodio di quando lavoravo sulle navi da crociera come pianista e un passeggero a fine crociera mi disse: “Grazie per la musica, ogni sera abbiamo preferito ascoltarti piuttosto che andare in teatro”. A volte basta un piccolo ringraziamento o una pacca sulla spalla per capire l’importanza di ciò che è passato al pubblico».

Cosa pensi dei jazzisti più recenti rispetto a quelli classici? Ritieni che si sia perso qualcosa rispetto al passato?

«Onestamente no, non sono un nostalgico, anzi, a me piace molto anche il jazz di oggi. Certo, ha degli elementi che lo differenziano rispetto al passato ed è giusto che sia così: la musica di oggi non può che rispecchiare la società odierna. Se i compositori attuali si limitassero a copiare gli autori del passato non ci sarebbe evoluzione».

La nostra chiacchierata si è conclusa chiedendo a Rosario di definire in poche parole la sua musica ideale. «Originale, suadente, eterna» è stata la sua risposta. Tre caratteristiche che in fin dei conti ritroviamo anche nella scrittura e in ogni espressione d’arte. Perché – come ha giustamente detto il nostro pianista – «se nelle nostre vite non ci fosse l’arte, sarebbe tutto spento».

Intervista a cura di Rosalba Laganà e Gaia Loria, studentesse della Scuola Biennale di Scrittura e Storytelling di Viagrande Studios.

A tu per tu con un pianista: la musica tra emozioni e fatiche ultima modifica: 2024-01-24T08:00:00+01:00 da Redazione

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