Cotto o crudo, dolce o salato, l’“Oro Verde” di Bronte è conosciuto a livello internazionale. Come e da chi è nata l’idea di produrre questa dolcissima prelibatezza?
La storia della città di Bronte
Creata dall’imperatore Carlo V d’Asburgo nel 1520, Bronte fu governata precedentemente dalla comunità degli albanesi. Degli usi, dei costumi o della religione albanese è rimasto molto poco: solo qualche cognome presume la provenienza albanese (Scafiti, Schiros, Schilirò, Triscari, Zappia) e diverse parole di uso comune.
Bronte nella storia subì ben due eruzioni dell’Etna. Con la prima, quella del 1651, la città del pistacchio fu parzialmente danneggiata, dato che le colate laviche non si avvicinarono alle abitazioni. La seconda eruzione vulcanica, invece, quella del 1843, è ricordata per l’esplosione della colata di lava che avvenne a seguito della copertura di una falda acquifera. L’incontro tra la lava e l’acqua della falda, innescò l’esplosione e molte persone morirono percosse dal fuoco.
L’età del Risorgimento fu molto tempestosa per Bronte. La città, infatti, fu protagonista di un episodio controverso, noto come i Fatti di Bronte, in cui alcuni brontesi durante una rivolta uccisero 16 “cappelli”.
L’origine araba del tradizionale pistacchio di Bronte
Furono gli arabi a promuovere e a diffondere la cultura del pistacchio nell’isola. L’affinità etimologica del nome pistacchio in dialetto, corrisponde al termine arabo. La “Frastica”, inteso come il frutto, e “Frastucara”, cioè la pianta, derivano dai termini arabi “fristach”, “frastuch” e “festuch”.
Nella metà dell’800, nelle province di Caltanissetta, Agrigento e Catania, il pistacchio iniziò a svilupparsi e ad essere coltivato in moltissimi terreni. Specialmente a Catania, ai piedi dell’Etna, il pistacchio conobbe la massima espansione. Basti pensare che nel 1860 interi pascoli e terreni incolti furono trasformati in pistacchieti e la pianta coltivata divenne il fulcro del sistema agricolo ed economico della città.
La produzione del pistacchio di Bronte
Quella della produzione del pistacchio di Bronte è una tradizione lunga secoli. Esso viene raccolto ogni due anni e, negli anni di scarsa produttività, vengono eliminate le gemme impedendone la nascita del frutto. Quando la pianta non produce per un intero anno, affermano i maestri del pistacchio, l’anno seguente la pianta si trova in condizioni ottimali per moltiplicarne la produzione.
Questa tecnica, utilizzata nei secoli, oggi è però messa in discussione dai nuovi produttori. Questi stanno provando a raccogliere pistacchio ogni anno, piantandolo anche oltre i terreni lavici, in zone dove la terra, bagnata dal Simeto, è florida e generosa.
Fra un paio di anni si conoscerà il risultato di questa nuova tecnica, e chissà se, nel caso in cui i risultati fossero ottimi, i brontesi modificheranno le tradizionali tecniche di produzione per quelle nuove. Certo è che il metodo di raccolta non potrà mai essere modificato. Prima bisogna togliere il mallo, poi il guscio e per finire quella pellicina che protegge il verde pistacchio. Subito dopo la raccolta il pistacchio va essiccato per ridurre la percentuale di umidità fino al 4%, impedendo la formazione di microrganismi.
Il pistacchio in tutte le sue forme più gustose
Oggi il pistacchio di Bronte (Pistacia vera) è un prodotto a Denominazione di Origine Protetta (DOP) ed è conosciuto in ogni parte del mondo. Il famoso “Oro Verde” della Sicilia è il più richiesto da tutti i pasticceri e i ristoratori per preparare torte, paste, gelati, granite, cannoli siciliani, arancini o come condimento nei primi e nei secondi piatti.
Solo l’1% del pistacchio che circola nel mondo è di Bronte. Il resto si chiamerà anche pistacchio, ma non sarà mai buono come quello brontese.