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Le cucine settecentesche del Monastero dei Benedettini

Cucine che si trovano all'interno del monastero dei Benedettini di Catania rendendolo ancora più prezioso

Le cucine settecentesche che si trovano nel meraviglioso complesso del monastero dei Benedettini di San Nocolò l’Arena di Catania sono opera del genio di Vaccarini e un tesoro che arricchisce la struttura. Andiamo a scoprirle

Le cucine settecentesche del Vaccarini

Si tratta di una complessa e articolata struttura opera del geniale architetto Giovan Battista Vaccarini, fautore della maggior parte delle opere architettoniche di Catania dopo il rovinoso terremoto del 1693. Vaccarini le realizzò nel 1739, direttamente sulla colata lavica del 1669. Su di essa collocò le cantine.

Le cucine si trovano accanto al refettorio grande, che oggi ospita l’aula magna del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Unict. La sala spicca per le proporzioni, il pavimento realizzato con ceramica di Caltagirone e i suoi tipici decori e colori e dalla volta con l’affresco che raffigura la Gloria di San Benedetto, opera di Giovan Battista Piparo.

L'affresco del refettorio grande con la Gloria di San Benedetto, opera di Giovan Battista Piparo da cui si accede poi alle cucine del Vaccarinii
L’affresco del refettorio grande con la Gloria di San Benedetto, opera di Giovan Battista Piparo da cui si accede poi alle cucine del Vaccarini. Foto di S. Portale

Ad esse si accede da una porta sulla destra, attraverso un ambiente passavivande che funge da filtro e dall’esterno, ovvero da Piazza Vaccarini, attraverso un androne di collegamento.

Vaccarini realizzò dei particolari collegamenti fra i diversi ambienti completati da complicati passaggi. Particolari anche i pozzi, da cui si passavano le vivande. Siamo davanti a una creazione molto originale e contemporanea oltre che super funzionale.

L'ingegnoso, funzionale e contemporaneo sistema delle cucine inventato da Vaccarini nel Settecento
L’ingegnoso, funzionale e contemporaneo sistema delle cucine inventato da Vaccarini nel Settecento; foto di S. Portale

La straordinaria struttura delle cucine

Appena entrati nel vano ci colpisce l’ingresso, caratterizzato da un vano quadrato con una sorta di sistema con tre finestre. Accedendo notiamo un’ampia stanza dalla forma quadrata con quattro pozzi ai lati che costituivano un collegamento con gli ambienti sottostanti dove era allocata la dispensa benedettina, oggi denominata come “il Ventre”.

Al centro della stanza si trova una struttura molto particolare che una sorta di edicola che fungeva da vero e proprio forno dalla forma ottagonale con quattro aperture con archi a tutto sesto sorretti da colonne. L’edicola è delimitata da una cornice su cui poggia la copertura dell’ambiente, costituita da una volta a botte anulare a base ottagonale. Essa fungeva da piano cottura principale della Cucina. La troviamo simile all’interno delle cucine della famosa Certosa di Padula. Ad hoc venne realizzata anche una sorta cappa/ canna che serviva a disperdere il fumo. Straordinariamente tutto si regge autonomamente sul banco lavico costituendo una delle creazioni più originali e meglio riuscite del Vaccarini.

Innovative anche le strutture sotterranee che venivano utilizzate come cantine e che servivano anche a smaltire tutto ciò che serviva per preparare i lauti pranzi dei ricchi monaci.

Dettagli della decorazione in ceramica che abbelliscono la sala dove si trovano le cucine dei monaci benedettini
Dettagli della decorazione in ceramica che abbelliscono la sala dove si trovano le cucine dei monaci benedettini; foto di S. Portale

Sulle pareti di quest’originale struttura spiccano le ricche ed elaborate decorazioni realizzate con maioliche policrome che riprendono i motivi geometrici e floreali del pavimento. Spiccano i colori ocra, verde e blu. Si pensa che queste ceramiche provenissero da Vietri. La struttura venne ripresa e riportata all’originario splendore, dopo un lungo periodo di degrado e abbandono, con i restauri che coinvolsero l’intera struttura quando divenne sede della facoltà di Lettere dell’Università di Catania negli anni Ottanta, grazie all’operato del Prof. Giarrizzo.

Le cucine nel Museo della fabbrica

Le cucine appartengono oggi a quello che viene definito Museo della Fabbrica, realizzato nel 2000 dell’Arch. Giancarlo De Carlo e dell’Ufficio Tecnico d’Ateneo attraverso  i fondi del Piano Coordinato “Catania – Lecce” per realizzare un museo partendo dalle vicende storico-architettoniche dell’ex plesso monastico, legandole al contesto ed al tessuto urbano. 

Il Museo della Fabbrica è parte integrante del Monastero dei Benedettini di San Nicolò l’Arena.

Gli ambienti che caratterizzano le cucine del Monastero dei Benedettini che appartengono oggi al Museo della fabbrica, il museo del monastero
Gli ambienti che caratterizzano le cucine del Monastero dei Benedettini che appartengono oggi al Museo della fabbrica, il museo del monastero; foto di S. Portale

La testimonianza letteraria di De Roberto

Lo scrittore verista Federico De Roberto, nel suo romanzo più famoso, I Vicerè descrive non solo il monastero ma soprattutto le portate cucinate e soprattutto mangiate dai pingui monaci del complesso catanese.

Ecco le citazioni più rilevanti:

I monaci facevano l’arte di Michelasso: mangiare, bere e andare a spasso. Levatisi, la mattina, scendevano a dire ciascuno la sua messa, giù nella chiesa, spesso a porte chiuse, per non essere disturbati dai fedeli; poi se ne andavano in camera, a prendere qualcosa, in attesa del pranzo, a cui lavoravano, nelle cucine spaziose come una caserma, non meno di otto cuochi, oltre agli sguatteri. […] I calderoni e le graticole erano tanto grandi che si poteva bollire tutta una coscia di vitella. e arrostire un pesce spada sano sano.

 “Ogni giorno i cuochi ricevevano da Nicolosi quattro carichi di carbone di quercia per tenere i fornelli sempre accesi…quattro vesciche di strutto… e due cafisi d’olio…”.

“I calderoni e le graticole erano tanto grandi che ci si poteva bollire tutta una coscia di vitello e arrostire un pesce spada…” “di tutta quella roba, se ne faceva poi tanta, che ne mandavano in regalo alle famiglie dei Padri e dei novizi e i camerieri, rivendendo gli avanzi, ci ripigliavano giornalmente quando 4 e quando 6 tari” “…subito dopo tavola, se ne uscivano dal convento, si sparpagliavano pel quartiere popolato di famiglie, ciascuna delle quali aveva il suo Padre protettore” e Don Basco, Benedettino della famiglia Uzeda, “…aveva tre ganze nel quartiere di San Nicola: donna Concetta, donna Rosa e donna Lucia la sigaraia, con una mezza dozzina di figliuoli…”.

Anche  gli accurati registri di spesa  ci testimoniano la preparazione di questi lauti pranzi che contravvenivano alla tradizionale regola benedettina.

Al centro della stanza si trova una struttura molto particolare che una sorta di edicola che fungeva da vero e proprio forno dalla forma ottagonale con quattro aperture con archi a tutto sesto sorretti da colonne.
Al centro della stanza si trova una struttura molto particolare che una sorta di edicola che fungeva da vero e proprio forno dalla forma ottagonale con quattro aperture con archi a tutto sesto sorretti da colonne, utilizzata com e fornello con tanto di canna fumaria; foto di S. Portale

I lauti pasti dei monaci benedettini

Da quello che abbiamo appena letto è chiaro che i monaci benedettini di Catania, l’ordine monastico più potente della città, contravveniva in molti usi alla regola di San Benedetto. Tante sono le leggende che li vedono protagonisti di tresche con le monache, di ingerenze politiche e di lauti pasti dalla fine del 1500 fino al 1866.

Di sicuro i monaci si tenevano lontani da zuppe di cereali, legumi ed ortaggi e soprattutto digiuni.

Le meravigliose cucine che abbiamo appena illustrato servivano per preparare: timballi di riso, falsomagri, carne, pesce, cannelloni alla ricotta, crispelle di riso e i monsù tipici dei palazzi nobiliari.

A questo proposito famosa appare la preparazione di arancini grandi come un melone che ogni monaco consumava per intero.

I pranzi erano di almeno quattro portate e potevano arrivare a sei. I religiosi mangiavano almeno un chilo e mezzo di cibo per pasto.

Attingendo ai propri giardini, orti e vigneti, i monaci preparavano anche latte di mandorla, liquori, grappe e soprattutto vino.

Ad arricchire la già ricca tavola benedettina erano anche dolci come cannoli, geli, frutta martorana.

Diffusi erano: erbe aromatiche, zafferano, erba cipollina con cui insaporivano lo strutto che mangiavano spesso, soprattutto nell’inverno. Nel Cafeaos del Chiostro di Levante consumavano anche la cioccolata e il caffè.

Molti studiosi sostengono che proprio tra le mura dei monasteri e delle abbazie abbia avuto origine l’arte culinaria italiana ed europea.

Il monastero dei Benedettini di Catania, angolo dopo angolo, rivela sempre elementi nuovi da scoprire, pregni di suggestione che lo rendono adeguatamente uno dei più importanti e preziosi patrimoni dell’UNESCO.

Il monastero può essere visitato Con l’Associazione Officine Culturali.

Contatti: [email protected]; o al numero: 334 924 2464.

Fonti: A. Leonardi, La fabbrica della festa, in La cucina dei Benedettini a Catania, R. Rizzo Pavone A. M. Iozzia; http://www.monasterodeibenedettini.it; Riconnettere presente e passato: la ricostruzione virtuale delle cucine del monastero dei Benedettini a Catania, studio condotto da Nicoletta Campofiorito.

foto copertina: Monastero dei Benedettini di San Nicolò L’Arena, pagina facebook

Le cucine settecentesche del Monastero dei Benedettini ultima modifica: 2022-06-15T09:30:00+02:00 da SABRINA PORTALE

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