Giacomo, il disegno di una vita, di Alessandra Pandolfini, è il terzo emozionante racconto che proponiamo in questa che vuole essere una rassegna di letture di racconti scritti dagli studenti della Scuola Biennale di Scrittura e Storytelling. Vita d’altri è una masterclass pensata per mettere gli studenti della Scuola Biennale di Scrittura e Storytelling di Viagrande Studios prima in contatto con l’improvvisazione della creazione attraverso oggetti non loro. Poi – immergendosi nella costruzione del racconto e del primo editing – i testi da loro realizzati sono stati letti e valutati da tre esperte del settore. Il racconto che leggerete, Giacomo, il disegno di una vita, è stato valutato dall’attrice e promotrice culturale Ester Pantano.
Giacomo, il disegno di una vita di Alessandra Pandolfini
Solitamente Giacomo si ricordava della lettiera del gatto in base al rumore che facevano le zampe di Calliope nel momento di camminarci sopra. Capiva che doveva cambiarla perché il suono era più appiccicoso. Sapeva che le pantofole della madre erano ormai da buttare per il passo lucido in un piede e mollo nell’altro. Si rendeva conto settimane prima che la batteria dell’antifurto dei vicini era rotta per il suono leggermente meno altisonante.
No, non era cieco, era solo un grande ascoltatore. L’udito era il senso a cui Giacomo teneva di più, e che più di tutti gli faceva comprendere il mondo.
Non era tanto il campo musicale quello che padroneggiava il mondo dei suoi sogni, bensì quello dell’imitazione. La gente ama passare il tempo a fare cortile, a sparlarsi, a guardare i difetti degli altri, tanto vale farlo vedere a tutti, era la sua giustificazione ricorrente: credeva che sicuramente ci avrebbe guadagnato in onestà. Del cortile effettivamente Giacomo odiava le maniere clandestine, ma era affascinato dall’impegno e dal labor lime della gente nel riprodurre il modo di parlare dei soggetti della discussione. Quello che lo affascinava era che nessuno di loro fosse un attore, ma non per questo le imitazioni non rendevano l’idea. Aveva pensato che se persone con un medio sistema sensoriale erano in grado di fare delle imitazioni decenti, lui col suo orecchio sarebbe arrivato al successo.
“Le immagini di questo racconto sono incredibilmente vivide anche dopo giorno dalla sua lettura. Profondità e maturità nel come racconta la storia e nel come rispecchia la vita” Manuela de Quarto
Giacomo teneva sulla libreria uno di quei vecchi registratori anni ‘80 rubato alla madre, che conservava solo per il gusto di dire che collezionava oggetti vintage, diciamo; che fosse particolare rispetto ai coetanei 17enni. Si sentiva spesso in colpa per guardare quegli oggetti e basta, senza farne uso, come se la sua vita fosse di plastica a volte. Decise che era il momento di utilizzare quel registratore come assistente per il suo studio sulla materia umana.
Doveva testare e testarsi su qualunque tipo di individuo, su qualunque cadenza, accento, tic, balbettio, difetto o sputo. Aveva bisogno di sentirsi preparato, e alla Forrest Gump cominciò a passare i pomeriggi primaverili sulle panchine a parlare con persone la cui voce era di carta vetrata, a volte velluto, a volte gesso della lavagna, altre volte persino di gomma da masticare. Diceva che le voci più interessanti erano quelle grattate, perché gli ricordavano quella di Ferruccio Amendola, perché una peculiarità era diventata una cosa bella, ed era quello che lui voleva fare della sua vita.
Registrato tutto tornava a casa e cominciava a esercitarsi, quella era la sua palestra, quel registratore conteneva i suoi spartiti.
Giacomo, il disegno di una vita fa parte dei racconti della masterclass Vita d’altri della Scuola Biennale di Scrittura e Storytelling di Viagrande Studios
Andando avanti nel tempo Giacomo riuscì effettivamente a ingrandire il suo pubblico: passò dalla sua famiglia, ai compagni di scuola, alla gente nei caffè. Dopo il diploma diede mezzo esame universitario, mandò tutti a quel paese e iniziò a scrivere dei propri spettacoli di stand-up comedy ed esibirsi in teatri off. A volte c’era persino chi lo fermava.
“Ma! Ma io ti conosco, tu sei quello, giovane… tu sei quello delle imitazioni!”
“Ti ho visto l’altro giorno, quanto mi hai fatto ridere”
“Aspetta, tu non sei quello che si esibisce in quel teatro… di nicchia?”
“Lo sai, anche mia zia parla in quel modo, mi hai fatto spaccare!”
Giacomo era sorpreso di vedere che se al liceo era solo una nullità, il fatto che riuscisse a far ridere un po’ tutti aveva completamente trasformato la sua reputazione. Continuava a mangiare la pizza da solo, ma quelli del tavolo accanto si ricordavano il suo nome.
“A cena mi chiese cosa intendessi con quella frase, e a quel punto parlammo del pensiero, del teatro, e del perché i prezzi dei piatti fossero proprio quelli e non altri.”
Quando lo conobbi gli dissi:
“Devi essere iperestesico per fare delle imitazioni così!”
Anzi no, questo gli avrebbe solo fatto pensare che fossi saccente. La frase era:
“Devi avere molta sofferenza per volere far ridere tutti”
Anzi no, aspettate, di questa avrebbe detto che era vera ma anche molto retorica. La frase credo che fosse:
“Ho visto il tuo spettacolo l’altra volta, sei davvero bravo. Probabilmente senti anche troppo, se ci pensi è molto triste, e tu vuoi campare facendo ridere”
Esatto, era proprio questa la frase, certo avrà qualche difetto anche questa ma, né troppo banale, né troppo artefatta. Gli dissi quella frase dopo un suo spettacolo, e mi chiese di mangiare qualcosa insieme. La cosa mi sorprese perché di solito andava a mangiare da solo, a quanto mi avevano detto, e non si sentiva a suo agio con chi gli faceva i complimenti. A cena mi chiese cosa intendessi con quella frase, e a quel punto parlammo del pensiero, del teatro, e del perché i prezzi dei piatti fossero proprio quelli e non altri. Mi raccontò della scuola, dell’aver lasciato l’università e delle voci grattate. Io raccontai la mia versione dei fatti della vita, e gli chiesi di che materiale fosse la mia voce.
Uno dei titoli di questo racconto era I fiori della morte
“Non l’ho ancora capito, questo.”
“Perché?”
“La voce di una persona è il modo che ha l’orecchio di percepirne l’essenza, ma la tua non è chiara.”
“Io credevo che ti piacessi, che volessi fare sesso o iniziare una relazione, magari entrambe le cose. Invece vuoi solo studiarmi.”
Si mise a ridere e disse che apprezzava la schiettezza, uscimmo dal locale felici, perché entrambi ci sentivamo per la prima volta riconosciuti in qualcuno.
Seguì un qualcosa simile a una relazione, ma per poterne raccontare evidentemente doveva essere qualcosa di poco sereno. Non saremo patetici quindi diremo semplicemente che Giacomo non è più vivo, o se preferite dirò che non ricordo bene cos’è successo dopo aver spaccato il telefono leggendo il messaggio della sua morte, così con una frase sottintendo che è morto e il lettore può comprendere, ma senza sentirsi obbligato a piangere. Lui avrebbe detto che la situazione non era così tragica, in fondo quel telefono andava cambiato.
Ieri sarebbero passati 4 mesi dal suo funerale. Non mi piaceva l’atmosfera dei funerali in Italia, ma mi piaceva quella dei cimiteri, perché non c’erano molte persone fondamentalmente. Di solito ci andavo una volta la settimana a leggere e a respirare l’odore dei pensieri di tutti i passanti nell’arco dell’anno. Ieri ci sono tornata per la prima volta dopo il suo di funerale. Ho visto la tomba di un’altra persona giovane e ho pensato che non è vero che nulla succede per caso. Allora ho guardato l’orologio e mi sono accertata del fatto che il tempo non andava indietro, se fosse stato così ci sarebbero dovuti essere fiori in meno sulla tomba di quel giovane.
“Tra i migliori racconti letti, potrei farci un film anche subito” Ester Pantano
Certo, se avessi tolto un fiore io sarebbe stato un po’ come tornare indietro. Allora ho tolto un fiore solo per giocare con la logica, ho fatto lo stesso coi fiori della tomba di Giacomo, e poi con tutte le tombe di persone morte prima di avere un lavoro almeno. Alla fine ho creato il mio mazzo dei fiori secchi della morte, sono tornata a casa e li ho messi nell’acqua, come se con quel gesto potessero rinascere loro e non solo.
Non avevo pianto al funerale di Giacomo, perché preferisco anestetizzarmi, e non piansi neanche allora ma avevo voglia di vomitare quei fiori via perché l’acqua non li aveva fatti rinascere. Misi il vaso nel tinello e continuai la vita come se nulla fosse.
Una notte mi alzai per bere e mi accorsi che i fiori non c’erano più, ma avevo troppo sonno per pensarci. Il giorno dopo mi accorsi che mia sorella li aveva portati a scuola per l’iniziativa cantastorie per un giorno, e aveva raccontato la triste storia di sua sorella alla classe. Seguirono una serie di mie sfuriate come misto di rabbia e imbarazzo.
“Vai a raccontare i miei cazzi? E poi non dovevi inventare una storia sul momento?”
“Ma è bella la tua storia”
“Lo capisci che è proprietà personale?”
“E invece io dovevo raccontare quella storia! E’ stato importante”
Mi raccontò che un bambino iniziò e a piangere per un lutto in famiglia che non era mai riuscito a elaborare. La madre ringraziò mia sorella e mi fece le condoglianze. Forse state pensando che questo mi dimostrava che il nulla succede per caso in realtà è vero, e che tutto ha un senso e altre stronzate da film di Natale. In realtà io continuai semplicemente a credere che mia sorella avesse sbagliato, ma il pensiero di quel bambino mi tormentò nei giorni successivi.
La Scuola Biennale di Scrittura e Storytelling di Viagrande Studios a breve ricomincerà la selezione per l’anno accademico 2023-’24. Segui i nostri account Facebook e Instagram
Qualche settimana dopo mi fermò la maestra di mia sorella quando io ero andata a prenderla a scuola. Mi disse delle robe pro-forma su quanto fosse triste la storia di Giacomo, che conosceva anche lei una ragazza che aveva perso il ragazzo a 25 anni, che doveva essere davvero dura e io ero a costretta a stare a quel gioco delle ipocrisie. Mentre ammaccavo Martina con la spalla, più forte del solito per farle capire che volevo sottrarmi alla conversazione, la maestra disse che le sarebbe piaciuto se avessi scritto un piccolo racconto sull’accaduto, visto che suo marito lavorava per una casa editrice che stava lavorando alla pubblicazione di un libro che raccoglieva storie realmente accadute scritte da persone diverse. Io dissi che non volevo rendere pubblica la mia storia, soprattutto se così sarebbe stato sicuro che era reale.
L’ho ringraziata e sono corsa in macchina, poi ho visto che per l’agitazione ho dimenticato Martina e sono ritornata ancora più agitata di prima.
Giacomo, il disegno di una vita è stato tra i racconti più apprezzati all’interno della masterclass Vita d’altri <– clicca per leggere altri racconti
Sarebbe bello se scrivessi uno dei miei spettacoli, anche se forse sei troppo drammatica, era una delle frasi che Giacomo mi aveva tatuato nella memoria. Perché pensavo che fosse ridicola, persino per lui. L’aveva detto solo perché gli era piaciuto il modo in cui avevo descritto le persone nel locale, al primo appuntamento. Diceva che ero attenta ai dettagli, e io gli dissi che molte persone lo sono eventualmente, ma questo non le rende degli scrittori, e lui disse che questa frase confermava la sua tesi. Quello che mi chiese la maestra di Martina mi mise in crisi perché mi ricordò che non avevo mai seguito il consiglio di Giacomo. E se mai l’avessi seguito ora e le cose fossero andate anche bene sarebbe stato brutto pensare che avrei dovuto dargli ragione prima, ed ero io quella che doveva avere ragione tra i due
Ho cominciato a unire le cose. E ho cominciato a buttare già delle lettere su tutt’altro rispetto a quello che mi era successo, o almeno in superficie. Probabilmente ho preso gli eventi della vita e ho raccontato quello che si poteva raccontare da dietro, oppure ho preso delle cose mie e ho modificato il modificabile. Oppure ho raccontato cose che ho vissuto in esistenze parallele. Ho messo il racconto nel cassetto, e non racconterò il seguito. Forse, però, Giacomo aveva ragione.
Sei ci pensate, non ho lasciato neanche un fiore sulla tomba di Giacomo, mentre lui mi ha lasciato il resto della mia vita.