Il catanese: a megghiu parola è chidda ca si dici...in dialetto! - itCatania

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DIALETTO

Il catanese: a megghiu parola è chidda ca si dici…in dialetto!

I catanesi e il dialetto

La "parlata" è una parte fondamentale dell'essere catanese.

Per essere catanesi non basta essere nati a Catania. La catanesitudine è qualcosa che si acquisisce con il tempo, è un modo di pensare, di affrontare le circostanze. Un vero e proprio stile di vita. Caratteristica essenziale del catanese doc è la sua parlata.

Il dialetto catanese – e più in generale quello siciliano – è un linguaggio antichissimo; costruito pezzo per pezzo sull’ eredità lasciata dai tanti popoli che nei secoli hanno conquistato la Sicilia. Dai greci agli arabi; dai francesi agli spagnoli; il dialetto nel tempo si è arricchito di termini anche molto coloriti e – come si direbbe proprio a Catania – “streusi” (strani).

La cosa più bella del dialetto catanese è che si può riuscire con una sola parola  – praticamente intraducibile in italiano se non con una lunga spiegazione – a trasmettere un intero concetto che racchiude in se diverse sfumature di significato.

Ecco alcune delle cosiddette “parole intraducibili” più usate nel del dialetto catanese:

Vecchietto catanese

Il termine “camurria” è un must del dialetto catanese; di solito si usa per indicare una persona particolarmente seccante, che infastidisce il prossimo. Fonte foto: http://riccardorandazzo.blogspot.it

Avaia

Il termine è usato con il significato di “ma dai!”; “suvvia” e deriva, probabilmente, dallo spagnolo “vaya”; Tuttavia la traduzione italiana del termine, non riesce assolutamente a rendere la percentuale di “siddiu” (altro termine difficile da rendere in italiano; si potrebbe provare con “essere stufo/seccarsi a fare qualcosa”) con la quale la parola viene comunemente pronunciata. Un’espressione tipica del catanese che viene portato ai limiti della sua pazienza è proprio: “Avaia ‘mpare!!”.

Allascati

In italiano il verbo “allascare” viene a sua volta da “lascare”, derivato dal latino tardo “laxicare”. In linguaggio marinaresco il termine significa “allentare un cavo”; il catanese lo usa con l’accezione – “lievemente” diversa – di allontanarsi velocemente da qualcosa o da qualcuno. Di solito si tratta di un ordine perentorio emesso in maniera seccata e, ogni tanto, anche un po’ schifata: “Allaschiti!”.

Liscìa

Il termine “liscìa” è la forma antica di “liscivia”; indicava una soluzione fatta con acqua bollente, cenere di legno o di carbone di legna usata anticamente come sapone. Oggi nel dialetto catanese si usa dire:“Essere liscio”; “avere la liscìa”. Si tratta, quindi, di una parola che da sola esprime uno stato d’animo nonché un particolare modo di essere tipico del catanese; una sottile forma di ironia; un modo per sdrammatizzare le situazioni più assurde, che si manifesta attraverso espressioni che producono divertimento e risate; ma che, talvolta, possono anche far riflettere.

Liscìa

La liscìa non risparmia nemmeno i grandi. Da sinistra a destra: Vincenzo Consolo, Leonardo Sciascia e Gesualdo Bufalino. (foto di Giuseppe Leone).

Ma squaru

Il verbo “squarare” può essere tradotto come “bollire eccessivamente”. Espressioni tipicamente dialettali sono: “Pasta squarata”; “stamu squarannu do cauru”. Tuttavia il termine ha un’altra sfumatura di significato; quando il catanese dice ironicamente: “ma squaru!”, significa che si è accorto che qualcosa non va; che le cose secondo lui non andranno come pronosticato da qualcun altro. Invece dire seccamente “ma fazzu squarata!” –  tipica risposta all’affermazione “hai ragione” – significa “non ottenere nulla”; “essere tutto inutile”.

Pagghiolo

Sarebbe il secchio che serve a svuotare la barca dall’acqua o come ricovero temporaneo per i pesci pescati. Nel paese di Valguarnera Caropepe ( in provincia di Enna) il “pagghiolo” fa parte dei festeggiamenti in onore di Santa Lucia: si tratta di un enorme fascio di inflorescenze di una pianta chiamata “disa” o “saracchia” (in dialetto “ddisi”, “liama” o “buje”); questo fascio viene inalberato su di un carrello ruotato in ferro e portato in processione da ragazzi e bambini dopo essere stato dato alle fiamme. Nel dialetto catanese viene usato come appellativo di “persona adulta che si comporta da bambino”; “buono a nulla”. Alcuni amici di it.catania si sono divertiti a darne diversi sinonimi: “cannaruzzuni”; “citrolu”; “sarchiapone”; “longammatula”; “mammalucco”.

Questo è solo un assaggio delle centinaia di espressioni dialettali che fanno parte del linguaggio quotidiano del catanese.

Da “alliccari a sadda” a “mizzica”; da “camurria” a “manciaciumi”, i termini che popolano l’universo dialettale catanese sono davvero molto coloriti, fantasiosi e icastici.

E voi? Qual è l’espressione dialettale che usate più spesso? Quale quella che vi rappresenta e vi piace di più?

Dite la vostra!

Il catanese: a megghiu parola è chidda ca si dici…in dialetto! ultima modifica: 2017-08-28T10:41:09+02:00 da Elena Angenica

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