La trilogia di Kieślowski: tre colori per viaggiare nell'anima

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La trilogia di Kieślowski: tre colori per viaggiare nell’anima

Un momento di Blu, il primo film della trilogia di Kieślowski recensito da Alessandra Pandolifini, studentessa di Viagrande Studios

La trilogia dei colori di Krzysztof Kieślowski del 1993-1994 è uno delle raccolte cinematografiche più esistenzialiste degli ultimi decenni. Seppur i tre film siano comprensibili singolarmente, sono parte di un’unica grande visione, di un viaggio che si divide in 3 livelli di consapevolezza.

Primo film della trilogia: Blu, con Juliette Binoche

In Blu Julie (Juliette Binoche) è l’unica sopravvissuta all’incidente d’autoche ha provocato la morte del marito e della figlia. Durante tragitto per eliminare tutti i ricordi del passato, Julie si occuperà di Lucille (Charlotte Véry), una spogliarellista che vive al piano di sotto, accetterà l’amore di Olivier (Benoît Régent), l’ultimo collaboratore del marito, e offrirà casa sua all’amante incinta del marito. Forse tra i tre il film più cinematografico: regnano le immagini, gli sguardi, le azioni, la quasi totale assenza di parola, del bisogno di condividere. Più che Julie l’apatia come protagonista, una visione nichilista in cui l’unica via è la depressione, il blu. La fotografia dai colori freddi e la presenza di elementi blu nella scenografia richiamano a un’atmosfera malinconica.

Blu, il primo film della trilogia di Kieślowski recensito da Alessandra Pandolifini, studentessa di Viagrande Studios
Blu, il primo film della trilogia di Kieślowski recensito da Alessandra Pandolifini, studentessa di Viagrande Studios

Quello di Julie non è un suicidio tradizionale, ma caratterizzato dalla sola intenzionalità dell’annullamento che non si concretizza mai in un’azione compiuta. Ecco che Kieślowski fa diventare il suo suicidio un gesto che non si conclude, che resta sempre aperto, che narcisisticamente non vuole mai uscire di scena.

Quello di Julie è stato nominato infatti un suicidio mentale, volto ad annullare quello che fino ad allora era stata la sua vita, i suoi ricordi, i suoi oggetti, i suoi rapporti. In questa visione c’è un distacco totale tra l’Io e il resto del mondo, perché mentre Julie vuole annullarsi, il resto della vita attorno a lei continua. La recitazione quasi brechtiana sottolinea l’assenza di emozioni. Il film si conclude con l’assenza di lieto fine. Si arriverà alla consapevolezza che niente dura per sempre, quindi l’unica verità è il vuoto.

Bianco: il secondo film della trilogia di Krzysztof Kieślowski

In Bianco il matrimonio tra Karol (Zbigniew Zamachowski) e Dominique (Julie Delpy) si conclude a causa dell’impotenza di lui. Vagando come un vagabondo incontra Mikołaj (Janusz Gajos) nella metropolitana di Parigi, che farà scoprire a Karol che Dominique lo tradisce. Ritornando inizialmente in Polonia nel negozio del fratello, Karol cercherà di riscattarsi, grazie anche all’aiuto di Mikolaj. Quindi, passerà da inetto a possessore di una fortuna. Il culmine della sua vittoria sarà il riuscito tentativo di soddisfare sessualmente la moglie perduta, la quale capirà che ella è in realtà emotivamente dipendente da lui. Mentre lui è ormai interessato solo alla vendetta. In Bianco regna la quiescenza. Seppur apparentemente simile all’apatia, qui la protagonista è il distacco.

Bianco, il secondo film della trilogia di Kieślowski recensito da Alessandra Pandolifini, studentessa di Viagrande Studios
Bianco, il secondo film della trilogia di Kieślowski recensito da Alessandra Pandolifini, studentessa di Viagrande Studios

La differenza sta proprio nell’essere una via di mezzo tra depressione ed euforia, nell’attesa, nell’intenzionalità di trovare una via di fuga, cosa presupposta come impossibile a priori nel primo film. La scalata sociale di Karol per Kieślowski è metafora dell’arrampicata umana e della lotta verso un qualunque tipo di felicità. Dal livello iniziale di blu passiamo a un livello in cui si spera possa esserci un lieto fine. Tuttavia esso si conclude con la prigionia mentale della moglie, lasciando la visione filosofica del film aperta e ambigua, senza prendere un’effettiva decisione, bianca appunto.

Rosso: il terzo film della trilogia del regista Krzysztof Kieślowski

In Rosso, a Ginevra, una giovane modella (Irène Jacob) stringe amicizia con un magistrato in pensione (Jean-Louis Trintignant) a causa di un incidente con il cane dello stesso. La donna scoprirà che il magistrato registra segretamente le telefonate dei vicini, cibandosi dei segreti e delle menzogne che nascondono. Questa è per lui l’unica soluzione ai suoi rimorsi sull’aver assolto un colpevole in passato. Ritorna lo sguardo nichilista sull’impotenza umana di fronte alle menzogne quotidiane, ma al contrario di Blu, Rosso trova una via d’uscita. Mentre nel primo regna infatti la depressione, e quindi il chiudersi in sé stessi, in Rosso regna la paranoia, e quindi tenere sempre l’esterno sott’occhio. Il cinismo del magistrato, che Kieślowski fa emergere, nasconde quindi un genuino interesse per il genere umano, e il distacco da esso stesso come conseguenza alla delusione.

Rosso, il terzo film della trilogia di Kieślowski recensito da Alessandra Pandolifini, studentessa di Viagrande Studios
Rosso, il terzo film della trilogia di Kieślowski recensito da Alessandra Pandolifini, studentessa di Viagrande Studios

Alessandra Pandolfini, frequenterà il secondo anno della Scuola Biennale di Scrittura e Storytelling di Viagrande Studios da ottobre 2023, per il percorso di giornalismo e linguaggi social si è dovuta impegnare nella recensione di qualcosa che fosse legato alla cultura, all’arte, conciliando anche la sua grande passione: il cinema.

I momenti più teatrali (pensiamo al momento in cui la donna si accorge delle telefonate registrate) segnano una grande differenza col primo film. Infatti eliminano man mano i codici cinematografici polacchi che lo caratterizzavano. Rendono il film più universale e più vicino a qualunque cultura, sottolineando l’umanità intrinseca del tema. Valentine finirà con Auguste (Jean-Pierre Lorit), uno degli uomini che il giudice spiava e che ha subito la conseguenza delle menzogne dell’umanità, tradito dalla sua compagna. Il finale segna una speranza rispetto all’insensatezza dei rapporti umani.

Siamo tutti infestati dalla stessa paura di non essere all’altezza della vita, che la verità, la giustizia, siano un’utopia. Forse è proprio il riconoscimento di essere accumunati dagli stessi desideri e paure ad aprire la porta all’empatia. E quindi, alla possibilità di un lieto fine.

La trilogia dei colori di Krzysztof Kieślowski è disponibile su Amazon Prime Video con Abbonamento Premium.

A cura di Alessandra Pandolfini, studentessa del II anno della Scuola Biennale di Scrittura e Storytelling di Viagrande Studios.

La trilogia di Kieślowski: tre colori per viaggiare nell’anima ultima modifica: 2023-08-09T20:59:33+02:00 da Redazione

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