Fabio Privitera è un catanese che ama scrivere e soprattutto condividere ciò che scrive. Noi di ItCatania lo abbiamo conosciuto e intervistato alcuni anni fa, in occasione dell’uscita del suo romanzo “Il principio delle nuvole” affascinati da quello che aveva da raccontare. Oggi lo incontriamo nuovamente in occasione della sua presenza al Catania Book Festival e al Salone del libro di Torino dove ha presentato il suo secondo nuovo romanzo.
Fabio Privitera, una penna e tante emozioni
Fabio è uno scrittore, un poeta, un fisico, uno studioso della Psiche, uno che sente la scrittura come una componente essenziale della propria personalità, un’attività dello spirito che lo porta ad essere un sognatore per cui le parole sono piene di sogni e i sogni pieni di parole. Questo chiasmo simboleggia pienamente la versatilità della sua scrittura che passa dalla prosa alla poesia in un continuo processo osmotico. Fabio ci ha parlato del suo nuovo romanzo, αἰών – riaffiorare dall’oblio, interessante per la trama, intenso di emozioni, ricco di riferimenti e spunti da approfondire.
A voi una buona lettura di questa piacevole intervista!
Fabio Privitera visto che sei già stato ospite del nostro network, oggi vogliamo cominciare questa intervista aggiungendo qualche dettaglio in più su di te. Cosa vuoi raccontarci?
« Di tempo ne è passato e nel mezzo ci sono state due mie pubblicazioni e una seconda laurea, quella in scienze e tecniche psicologiche e una pandemia che si spera stia volgendo al definitivo termine. Tutto ciò ha portato sicuramente dei cambiamenti nel mio modo di approcciarmi alla vita. Siamo sempre molto di più di quello che mostriamo in superficie, quindi, se da una parte possiamo fare sempre lo stesso lavoro e frequentare le stesse compagnie, dall’altro, quello interiore, siamo sempre in qualche modo in fermento e questo fermento, nel mio caso, è quello della continua ricerca di qualcosa di nuovo in cui imbarcarmi, o su cui scrivere.
Ciò anche durante la pandemia, durante la quale ho terminato la stesura del secondo romanzo e patito la perdita di una persona a me molto cara, che ha comunque influito durante l’editing, affinché dessi a quest’ultimo scritto un imprinting di particolare speranza. Per il resto, lavoro ancora come consulente informatico e sono socio di un circolo culturale torinese, del quale allestisco gli eventi letterari ».
Come è cambiato e come si è evoluto il tuo rapporto con la scrittura in questi anni?
«Il mio rapporto con la scrittura direi che è gradualmente maturato. Inizialmente essa era molto più istintuale, dettata dal momento e non la rimaneggiavo troppo. Questo mi portava a scrivere periodi molto lunghi e articolati, lenti che rischiavano di annoiare il lettore, costretto più volte a tornare sul passo. Oggi la mia scrittura è molto immediata, attenta alla sfumatura del linguaggio e al desiderio di suscitare nel lettore la medesima emozione che ha provocato in me quello scritto.
Definirei la mia, una scrittura che vuole accompagnarlo passo dopo passo all’interno del mondo che ho creato. Per fare questo utilizzo molto il flusso di coscienza, i processi mentali interni ai miei personaggi, i loro sentimenti, che diventano prima i miei e, successivamente, anche quelli del lettore».
Qual è il tuo rapporto con la poesia in riferimento all’espressione “Io non scrivo, io poeteggio forte “che ti connota?
« L’espressione “io non scrivo, io poeteggio forte”, nacque come sfottò alla celebre frase tratta da “100 sfumature di grigio”. Non appena uscì il film, tratto dal romanzo, il web spopolò di frasi simili, per cui volli metterci del mio. Al di là della battuta, la frase è da considerarsi una mission, una linea guida di quello a cui aspira il mio stile di scrittura, che è si può parafrasare così “scuotere l’animo fino a scardinarne ogni timore che ne lascia mute le emozioni”. Chiaramente, qui è possibile trovare il risvolto terapeutico della poesia e dalla scrittura in generale. Chiunque è in grado di scrivere, di mettere su carta i propri pensieri, le proprie sensazioni e fragilità, tuttavia occorre qualcosa in più perché quello che scrivi arrivi dritto sull’emozione che la mente di chi legge sta cercando di nascondere a se stessa, affinché lo scritto non risulti un mero sfogo su carta, o su tastiera, di un cuore tormentato.
Con ciò intendo che “poetare” forte, consiste nel saper cogliere i giusti passi nella danza delle parole, per accompagnare qualunque lettore dentro il proprio cuore e tirare fuori ciò che, altrimenti, lascerebbe segregato».
Fabio Privitera sei autore di due romanzi: Il principio delle Nuvole e αἰών – riaffiorare dall’oblio; in cosa coincidono e in cosa differiscono?
«Inizierei col dire che l’autore sono sempre io… ma non sono lo stesso io. I due romanzi, infatti, rispecchiano questa evoluzione, dalla cadenza molto lenta e riflessiva, a tratti pleonistica, de Il principio, si passa a quella ben più immediata e rapida di αἰών. Ciò rispecchia gli studi di scrittura creativa che ho compiuto negli anni che dividono i due romanzi, ma anche una maggiore maturità e consapevolezza del mio essere scrittore e della qualità che merita chi mi legge.
L’altro punto di differenza è sicuramente il genere. Per quanto entrambi si possano annoverare tra i romanzi di formazione, il primo ha una base fortemente introspettiva e psicologica, estrapolando dal tema amoroso il pretesto per parlare del cambiamento, di ciò che suscita in ognuno di noi, queste correnti d’aria fredda e calda che ci investono, che ci entusiasmano e ci fanno paura, proprio come tante volte avviene quando ci innamoriamo».
E αἰών – riaffiorare dall’oblio?
«Il secondo ha come tema principale l’identità, la memoria, ciò che siamo è ciò che abbiamo fatto, che facciamo e che faremo, e questi tre tempi sono strettamente correlati tra loro ma… cosa faremmo, e cosa penseremmo di noi stessi se non fossimo a conoscenza di ciò che abbiamo fatto in passato? È su questo interrogativo che si muove αἰών, partire dal non sapere nulla di sé per arrivare a una maggiore consapevolezza dell’esistenza, ma mano che riaffiorano i ricordi e si svela al protagonista ogni aspetto, nel bene e del male, della sua vita sulla terra.
C’è qualche altra differenza fra i due testi?
«Sì, certamente; mentre i protagonisti del primo sono dei sognatori coi piedi malamente piantati per terra, il secondo ha per protagonista un personaggio d’azione che si muove su un paesaggio surreale al contatto del quale cominciano a vacillare molte sue “certezze”.
In cosa coincidono: sicuramente la forte intenzione di scavare nell’animo umano e portarne in superficie le paure, gli orrori per certi versi. Una caratteristica che ritroviamo in entrambi i romanzi è la presenza del fiume. Nel principio, in realtà, non se ne parla esplicitamente. Esso è tacitamente accennato nel sottotitolo “nulla finisce, tutto diviene”, una parafrasi del detto Eracliteo e quindi come ogni istante sia infine simile alla goccia di un fiume, mai uguale a un’altra, eppure tutte importanti al fine di una “memoria”, concetto che ci riporta su Aion».
Quest’ultimo romanzo ha un legame con la spiritualità, con la psicologia e uno stretto rapporto col mondo greco. Ce ne parli?
« Partiamo dall’ultimo, dal mondo greco. Aion, in greco antico, vuol dire eternità e forza vitale. Aion era anche una divinità, rappresentante l’eternità, il tempo infinito, il susseguirsi delle ere, ma anche il tempo vitale e il destino. Ho scelto questo nome perché volevo introdurre dei termini che definissero gli esseri umani che avevano vissuto sulla terra e i “se stessi” che si risvegliano su Aion. Pensai subito a ana e kata, sopra e sotto, che decisi di storpiare a ena e kena. Suonava bene la parola “enajon”, quindi volli vedere se esisteva un termine greco che ci assomigliava. Con mia grande meraviglia trovai proprio il termine Aion e leggendo la definizioni dissi “è proprio questo!”. Esso esprimeva perfettamente quello che stavo scrivendo, un romanzo che avrebbe parlato dell’eternità e della forza vitale, nonché del destino di chi si risveglia in questo mondo».
E’ un vero e proprio amore quello tuo per il mondo greco
«Un lettore che abbia una spiccata confidenza col mondo ellenico non tarderà a riconoscere la parafrasi di molti miti, uno tra tutti il quello della caverna, descritto da Platone nel sesto libro de La Repubblica. Si potrebbe dire che l’intero pianeta Aion rappresenti tale mito, agli occhi di chi si risveglia su di esso.
Mi piace definire Aion un romanzo olistico, poiché abbraccia diverse discipline: spiritualità, psicologia, filosofia, ma anche fisica. La spiritualità ha assunto, negli ultimi dieci anni della mia vita, un ruolo importante, qualcosa che comunque era sempre stata lì, al buio, che cercai inizialmente con la fisica, ma a cui cominciai a dare la giusta luce solo quando cominciai a vivere da solo. Nel silenzio non c’è solo assenza, mancanza, malinconia; può esserci anche il lato buono della solitudine, quello che ti mette al cospetto con le tue assenze, le tue mancanze, le malinconie che hai prodotto nella tua vita.
La spiritualità è qualcosa che rimette le cose in un ordine più consono affinché tu possa sentirti meglio con te stesso. Non le sistema, semplicemente ti mostra che non poteva andare meglio di così, che eri solo immaturo, insicuro, che però c’è una novità: ora lo sai, ora ogni tua azione ha una consapevolezza diversa e tutto ciò che farai sarà voluto, non dettato esclusivamente o parzialmente dall’esterno ».
Da dove prendi spunto e cosa innesca il meccanismo per iniziare a scrivere un buon romanzo?
«Non puoi sapere a priori se un romanzo che cominci a scrivere sarà un buon romanzo. Puoi solo cominciare. Lo spunto? Arriva dall’osservazione e da quella capacità che ho sin da piccolo di distrarmi. Sembra quasi un ossimoro, osservare che implica in sé una certa dose di attenzione, e distrarsi. Perché no? La serendipity è proprio questa, trovare qualcosa mentre sei intento a fare altro. In questo modo sono nate tutte le trame che ho cominciato a buttare giù nel tempo. Il principio, Aion, altri romanzi in fase di redazione ».
Fabio Privitera quali sono le giuste precauzioni da prendere o le “dritte” per scrivere un buon libro come il tuo?
« Direi una tra tutte: avere senso critico nella lettura. Si dice che per scrivere bene occorra leggere molto. Non sono del tutto d’accordo. Conosco persone che leggono molti libri, ma quasi incapaci di comunicare o di scrivere un concetto in modo ordinato. Ciò perché leggere non basta, occorre prestare attenzione a ciò che si legge. Tornare più volte sopra una frase che ci ha colpito, chiedersi “perché?”
Questa è una cosa che ho ereditato dalla mia insegnante di matematica del liceo: non ci si deve accontentare di conoscere una formula, mettere i dati e avere il risultato, occorre chiedersi il perché funzioni proprio in quel modo. Ecco, scrivere un buon libro non è distante dallo scrivere o spiegare in modo elegante una formula matematica o un problema di fisica, basta conoscerne il linguaggio. Non a caso, prima della pandemia avevo cominciato a tenere un corso di scrittura creativa chiamato “La lingua del libro”.
Altra componente importante: un buon editor che sappia affiancarti nella fase finale, quella che porta il romanzo da “buona idea” a “buon libro”. A tal proposito ringrazio Natascia Cortesi, l’abile editor che con i suoi consigli e le sue “bacchettate” mi ha aiutato a rendere Aion un libro di cui al momento non riesco a riscontrare grossi difetti ».
C’è spazio per Catania e per la Sicilia nelle tue opere?
« Ce n’è stato e ce ne sarà. Entrambi i protagonisti de Il principio, sono siciliani e non escludo che un prossimo romanzo possa essere ambientato nella nostra terra ».
Sei stato uno degli autori di questa edizione 2022 del Catania Book Festival. Ci parli di questa esperienza?
« Il merito va soprattutto a quel vulcanico uomo che è Flavio Passi, il mio editore. Si può dire che per tanti versi siamo simili, entrambi tendiamo a dare il massimo in ciò che facciamo, e non ci tiriamo indietro di fronte a sfide e novità. È così che ci ritroviamo tra le venti case editrici indipendenti presenti al festival, per la sua volontà di far conoscere la realtà delle Edizioni Effetto, ed è così che è nata l’opportunità di parlare al pubblico della mia città di me, del mio Aion, della speranza che incarno in questo testo.
Credo fermamente che uno scrittore non sia qualcuno che debba o voglia cambiare il mondo. Scrive perché dentro ha un mondo diverso e decide di raccontarlo, affinché altri che gli somigliano possano sentirsi un po’ meno persi e soli, un po’ meno incompresi; a me interessa che ci siano le persone che hanno davvero bisogno di questa storia, di questo libro, di questa speranza. Così è stato durante la presentazione del 7 maggio scorso alle Ciminiere nella sala Venere».
Sei reduce dall’evento internazionale del Salone del Libro a Torino. Com’è stato partecipare?
« Torino è la città in cui vivo oramai da sedici anni. Proprio in questi giorni la città ospita la 34esima edizione del Salone internazionale del libro, con tema Cuori selvaggi. L’evento è un’ottima vetrina per far conoscere agli appassionati tutto il mondo dell’editoria. Con lo stand della mia casa editrice, per tutti i cinque giorni, abbiamo cercato di incuriosire, avvincere e far appassionare i tantissimi partecipanti. E’ un’esperienza straordinaria di contatto, interazione, scambio continuo di impressioni, sensazioni, interpretazioni! Un dare e ricevere!».
Quali sono i tuoi progetti in corso e quali quelli futuri?
« Tra i progetti futuri c’è sicuramente la ripresa dell’attività del corso di scrittura creativa e la creazione di eventi letterari presso il circolo La Lanterna 1.0 di Torino, e lo sviluppo di nuove trame di cui per adesso esistono solo i primi vagiti.
Ci saranno altre presentazioni, tra cui una a Milano a metà giugno. Frattanto sto continuando la stesura di quello che è il seguito de Il principio. Con molta probabilità farò uscire a poca distanza, una nuova edizione del primo romanzo e poi il seguito, sempre con Edizioni Effetto, in modo da dare una parvenza di continuità. A questi, infine, seguirà il terzo e ultimo capitolo.
Non so se Aion avrà un seguito, ma mi piacerebbe scrivere nuove storie che viaggino “ai confini della realtà.”
Ringraziamo Fabio che come sempre ci ha permesso di parlare di lui, della sua scrittura, di entrare dentro il suo animo di uomo e di autore, affrontando anche tematiche sensibili.
foto copertina di Francesca Cavalieri.