La nostra amata Sicilia, e in particolar modo la nostra amatissima Catania, è sempre stata terra di grandi scrittori e di amanti della scrittura. Tra questi, il nostro compaesano Lucio Sciacca si è dedicato durante l’intero corso della sua vita a dipingere aspetti della città spesso ritenuti marginali. È il caso, ad esempio, del libro edito nel 2008 da Maimone editore, “Storie catanesi di cani e di gatti“(di cui riportiamo le immagini).
Il libro è una raccolta di storie ambientate prevalentemente nel secondo dopoguerra che ha come sfondo una Catania ancora rurale, il cui scopo è quello di omaggiare tutti gli amici a quattro zampe con cui aveva condiviso gioie e dolori della vita, o per usare le parole stesse dell’autore:
“Dipendesse da me, innalzerei loro un monumento alto quanto la sommità del cielo, ritenendomi pur sempre in debito!”
L’intero libro si concentra dunque su questi incontri, non sempre giocosi, come ad esempio quello con il burbero Tony. Ma, più che limitarsi al mero racconto di eventi, Sciacca si dedica alla descrizione del carattere degli animali arrivando quasi a personificarli; d’altronde, chiunque abbia mai avuto un cane può ben capire come e quanto un esemplare si differisca dall’altro in quanto a carattere e personalità (parola non usata a caso).
Lucio Sciacca racconta Ruscè: il cane da caccia catanese
Tra le varie storie quella che spicca maggiormente per la sua “Catanesità” (che la lingua italiana non me ne voglia), è quella che racconta di Ruscè, cane da punta che accompagnava l’autore e la sua comitiva durante le battute di caccia nella piana di Catania. Fin dall’inizio del racconto il nostro protagonista viene descritto come un compagno di caccia preciso e affidabile; stimato dai conoscenti per le sue abilità al punto da meritarsi alcuni articoli sui quotidiani locali dell’epoca. Mentre, volendo usare ancora una volta le parole del padrone:
“Chi, invece, gli fu vicino, all’ammirazione aggiunse l’affetto, l’entusiasmo, il desiderio di averlo compagno e amico. ”
Quello che però rende la sua storia così particolare, e al contempo emblematica del carattere “catanese” del nostro amico a quattro zampe, avviene in una giornata di fine aprile. Con la solita compagnia si erano recati a caccia di quaglie e il fidato cacciatore aveva iniziato solerte la sua ricerca. Dopo poco i suoi compagni di avventura lo vedono assumere la tipica posa da punta e imbracciato il fucile il nostro compaesano e narratore dà l’ordine; Ruscè scatta, le quaglie si alzano in volo, il cacciatore prende la mira, preme il grilletto… Mancate.
La scena si ripete una seconda e una terza volta con sempre maggior disappunto da parte di Ruscè. Alla quarta preda mancata dai tiratori il nostro ormai completamente spazientito eroe decide di fare da se. Ma, i cani, per sua sfortuna non possono volare, cosi anche lui manca la preda malgrado una sfrenata rincorsa. È da questo momento che la storia diventa emblematica; Ruscè malgrado i richiami dei suoi compagni di caccia punta un muretto, lo scavalca e sparisce alla vista. Una volta raggiunto, lo scoprono di fianco alla macchina, sdraiato a pancia in su che prende il sole, lo sguardo che dice in modo inequivocabile: ” Ora mi siddiai “.
Al resto della spedizione a quel punto non resta altra possibilità che rinunciare ai propri propositi, risalire in macchina e ritornare in città, perché non bisogna mai far arrabbiare un catanese e, anche i cani, evidentemente, possono essere figli del Liotru.