Giovanni Lizzio: c'era una volta un ispettore catanese contro la Mafia..

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Giovanni Lizzio: c’era una volta un ispettore catanese contro la Mafia..

Giovanni Lizzio fu ispettore a Catania negli anni 80 e 90

C’era una volta Giovanni Lizzio..

Le storie sono importanti, segnano una persona, una famiglia, un’intera città. Quando poi rappresentano una lotta importante come quella contro la Mafia, segnano un’intera Nazione. Una di queste storie è sicuramente quella dell’ispettore capo Giovanni Lizzio. A Catania, o forse è meglio dire in Sicilia, sono molte le storie che parlano di ingiustizia, di oppressori e di corruzione. Sono molti i soprusi fatti e le parole non dette, le denunce mancate e le morti annunciate. Sono tante quelle storie che hanno come protagonista quella piovra oscura chiamata Mafia, chiamata Cosa Nostra. Un filosofo greco disse che sarebbe stato misero quel mondo che non avrebbe posseduto più eroi, che non avrebbe avuto più, tra le sue fila, uomini e donne che dicono “no”, e che lo dicono mettendo a rischio la propria vita. Catania non fa eccezione.

Quando si parla di Mafia e di Lotta alla mafia si ricordano nomi grandi (come Falcone, Borsellino, Peppino Impastato, Boris Giuliano, Pippo Fava, etc.). Accanto, però, a questi nomi più conosciuti ci sono liste incredibili di altri nomi, che raramente si ricordano. Che, al di fuori della propria città, difficilmente si conoscono. E che alle volte, anche nella città in cui hanno agito e hanno combattuto si tende a scordare. Giovanni Lizzio è uno di questi nomi conosciuti ma sconosciuti, grandi eppure umili.

Una storia semplice: Giovanni Lizzio

Questa che vi racconteremo è la storia di un uomo semplice, un poliziotto di Catania che non arrivò ai cinquant’anni. Un ispettore catanese che una sera d’estate del 1992 morì, fra le macchine in fila che tornavano a casa. Giovanni Lizzio fu un ispettore capo della squadra mobile di Catania negli anni ‘80 e ‘90. Aveva fatto servizio a Napoli, all’inizio della sua carriera, ma poi era stato trasferito nella sua città d’origine. Era un uomo semplice, marito e padre di due figlie. Premuroso con i suoi cari e con gli amici, anche se il lavoro gli prendeva molto tempo. Ed il suo non era un lavoro come tanti, era un lavoro costante e senza tregua verso le cosche mafiose della città. Giovanni Lizzio, dal nulla, redisse un vero e proprio archivio delle famiglie mafiose del catanese, riuscendo a determinare cosche vecchie e cosche emergenti.

Giovanni Lizzio e i colleghi a lavoro dopo un sequestro

L’ispettore capo Giovanni Lizzio con i suoi colleghi durante una conferenza per arresti e beni confiscati (foto da gazzetinonline.it)

Nel 1991 l’ispettore era stato trasferito proprio al nucleo anti-racket e la sua guerra alle estorsioni e alle prepotenze della corruzione divenne ancora più accesa. Il “pizzo”, così si chiama qui da noi, era l’oggetto delle sue indagini. Gli imprenditori e i commercianti che lo subivano conoscevano bene l’ispettore. A dir il vero, tutti a Catania conoscevano l’ispettore capo Lizzio. Tutti conoscevano i suoi arresti e il suo carattere: quello di chi non si arrende e non si ferma mai, se non sono gli altri a fermarlo. Pochi giorni prima di morire, infatti, aveva catturato 14 uomini del clan Cappellano, con l’aiuto di un pentito.

Il giorno dell’agguato di via Leucatia 

Di certo, tutto questo non era visto di buon occhio. Nella stagione dove la Mafia imperversava e usava il metodo dell’uccisione e delle autobombe per far capire chi comandava, l’operato di Lizzio risultava oltremodo scomodo.

Inoltre, all’epoca praticamente tutti pagavano il pizzo a Catania e l’attività di Giovanni Lizzio iniziò a dar fastidio non solo ai grandi capi che richiamavano l’ordine da Palermo, ma anche ai clan cittadini. Il 27 luglio del 1992 era sera quando avvenne l’agguato contro Lizzio. Una di quelle tranquille serate estive, in cui il caldo della giornata si unisce all’umido della sera. Erano morti da poco i due magistrati palermitani contro la Mafia, gli occhi erano puntati tutti su Palermo, mentre la parte nera della luna era rivolta verso Catania quella sera. Giovanni Lizzio era fermo in macchina ad un semaforo, all’altezza di via Leucatia 121 (zona Canalicchio).

Aveva appena chiamato sua figlia Grazia, per avvisare che a breve sarebbe ritornato a casa. I sicari lo raggiunsero lì: da uno scooter scese quello che poi sarebbe stato identificato con il personaggio di Di Fazio, esponente futuro del clan di Santapaola. Di Fazio dal finestrino abbassato colpì Lizzio nell’avambraccio destro, poi la sua arma s’inceppò. Ci pensò quindi l’altro sicario, Squillaci, a colpire a morte l’ispettore con altri cinque colpi, tra collo e torace. Gli assassini subito dopo fuggirono rapidamente, gettando le armi in un cassonetto. Lizzio resistette per qualche ora. Poi morì in ospedale tra le lacrime di chi lo amava a soli 47 anni.

Indagini sviate: il nome di Lizzio aspettò il 1998 per essere riabilitato

La Mafia è una macchina infernale, che ha mietuto (e miete) tantissime vittime e lo ha fatto senza discriminazione di sesso, età, credo politico o religioso. Certo, non ha mai chiesto scusa e non ha mai valutato un concetto molto semplice, in realtà. Più distrugge le sue vittime, più aumenta la potenza dell’ideologia che esse rappresentano. Più “chiude la bocca” a uomini come Giovanni Lizzio, più la loro voce riecheggia senza sosta.

Eppure, la vicenda di Lizzio ebbe un risvolto ancora più tragico della morte. Infatti, subito dopo, venne sviata l’indagine allontanando i sospetti da quello che, a tutti gli effetti, era stato un reato di stampo mafioso. All’epoca, infatti, era la calda stagione della trattativa stato-mafia del ‘92-’93. Il provocare e poi nascondere, lo spaventare e poi mitigare agiva indisturbato, così come agisce l’acqua sulla roccia: erodendo le coscienze e portando via la ragione altrui. Parlarono di altri motivi, di pettegolezzi privati, di cose che con la Mafia c’entravano poco.

Fu così che il giorno del funerale di Giovanni Lizzio Nicola Mancino, ministro dell’Interno e Vincenzo Parisi, capo della Polizia, non furono presenti. Questo, però, non fermò di certo i catanesi, che espressero a Lizzio e alla sua famiglia la loro vicinanza. Arrivarono, infatti, in tremila alla Cattedrale di Catania ad onorare il poliziotto della gente. Solo anni dopo (nel 1998), con le confessioni del pentito Di Raimondo, si ridiede onore alla memoria di Lizzio, e un po’ di pace alla sua famiglia. Inoltre, con il processo si scoprirono gli esecutori e i mandanti dell’agguato di via Leucatia, fra cui Santapaola.

Un uomo semplice, come è semplice un eroe

Chi ha conosciuto Giovanni Lizzio ricorda un uomo spesso sorridente. Gianni, per gli intimi, si dice avesse una voce molto bella e profonda. Era un poliziotto davvero al fianco dei commercianti della città, soprattutto per il suo lavoro svolto con l’associazione antiusura Asaes.

Si ricordano di lui anche i metodi asprigni e a volte risoluti: questo faceva irritare chi era sotto il suo occhio indagatore, caratteristica che lui usava come arma. L’ispettore Lizzio aveva un carisma come pochi, un leader che sapeva tenere unito il gruppo.

Un uomo che sapeva sempre quello che faceva, ed è per questo che ha ancora più valore tutto ciò che ha fatto per Catania. Questa è la storia di un uomo che si chiamava Giovanni Lizzio. Un eroe dei nostri tempi, un uomo in impermeabile beige e pistola, che agisce solo per difendere e che ha visto nella lotta all’estorsione la sua ragione di vita.

Attilio Bolzini sul perché di Mafia catanese se ne parla poco..

Perché, però, quando si parla di mafia a Catania e di persone come Lizzio, lo si fa col contagocce? Il  giornalista Attilio Bolzini abbozza una risposta nel suo blog per Repubblica: <<Abbiamo sempre fatto fatica a parlare di Catania e della sua mafia. Prigionieri in qualche modo di una visione palermocentrica di Cosa Nostra(..). Poi sono arrivati i Santapaola (e gli Ercolano) e anche loro ci sono sembrati da lontano appendici dei Palermitani e dei Trapanesi o degli Agrigentini, pericolosi e intraprendenti ma sempre catanesi.>>

Continua così Bolzini: <<Nella capitale dell’isola, che era diventata negli Anni Ottanta un campo di battaglia dove a colpi di pistola si decidevano equilibri politici anche romani, c’erano misteriosissime Cupole e si sviluppavano trame, mentre ai piedi dell’Etna trattavano e trattavano e ancora trattavano. (…)Da sempre Cosa Nostra catanese ha puntato principalmente a quelli.

Molto più americana come indole, rispetto alla vasta parentela che ha vissuto e vive ancora dall’altra parte della Sicilia, la mafia di Catania ha sempre cercato di mischiarsi con la città e con i suoi governanti piuttosto che manifestarsi come un’entità diversa, minacciosa e aggressiva. Una scelta che, nel lungo periodo, si è rivelata vincente.>>

Targa commemorativa per Giovanni Lizzio

All’interno della caserma Cardile una targa dedicata all’ispettore capo Giovanni Lizzio

E’ per questo che personaggi come Giovanni Lizzio, a nostro avviso, dovrebbero essere ricordati ovunque e spesso. Perché Lizzio non combatteva solo contro una Mafia oscura e pericolosa. Egli si stagliava contro una Catania che era immischiata in tutto questo, che ne era parte ed estensione. In cui, però, lui vedeva qualcosa che valeva la pena salvare, qualcosa per cui lottare e per cui morire.

Oggi, Catania e Giovanni Lizzio

A Giovanni Lizzio è dedicata una targa all’interno della squadra mobile di Catania ed una nella caserma Cardile della Polizia di Stato. Un parco della città porta il suo nome. Gli è stata dedicata anche una parte del murale di Piazza Lanza, lungo le mura esterne del carcere.

E’ quell’uomo con lo sguardo severo ma bonaccione, in giacca e cravatta. Sei passato tante volte da lì, forse hai letto anche il suo nome: conoscevi già la sua storia?
Oggi sì!

 

“Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene.”

Paolo Borsellino.

Giovanni Lizzio: c’era una volta un ispettore catanese contro la Mafia.. ultima modifica: 2018-11-08T09:26:36+01:00 da Manuela de Quarto

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