Una presentazione di un testo che fa luce su un’eroina antimafia. Uno scritto che riporta la storia difficile di una ragazza che tende ad essere accantonato. Io sono Rita è un libro la cui presentazione ha avuto luogo lo scorso venerdì pomeriggio presso la libreria Mondadori di Piazza Roma.
Una scrittura a tre mani
Io sono Rita è il prodotto di una ricerca accurata compiuta dalle tre autrici, Graziella Proto, Giovanna Cucè, Nadia Furnari. La spinta alla stesura dello scritto è stato il voler fare chiarezza rispetto a quanto accaduto a Rita Atria. Una vicenda rimasta insabbiata per molto tempo, la quale, in merito alla versione ufficiale dei fatti, presenta delle incongruenze. Adriana Laudani introduce l’incontro, sostenendo che raccontare la storia di una ragazzina la quale ha vissuto in un paese dalla mentalità mafiosa radicata è un compito impegnativo. Il padre di Rita non era un mafiosetto qualunque, godeva di un certo riconoscimento a Partanna nel trapanese. Per quanto le istituzioni abbiano teso ad abbattere la criminalità organizzata, essa è ancora radicata soprattutto nei quartieri degradati di paesi e città.
L’assenza di un collante sociale ben strutturato porta i ragazzi ad essere esposti alle organizzazioni mafiose, con conseguente violenza. Il libro consta di due parti, la prima dedicata alla storia di Rita; la seconda concernente l’inchiesta attorno la vicenda e le sue rivelazioni. Una ragazzina che, divenendo testimone di giustizia, non poteva più restare a Partanna. Così la spostano a Roma, ma qui è completamente sola, senza supporto di assistenti sociali o altre figure. Un aspetto da non sottovalutare perché se la ragazza fosse stata in compagnia probabilmente non si sarebbe suicidata. Rita, con le informazioni sulla mafia locale cui disponeva, ha fatto ricavare agli inquirenti una montagna di appunti. Ella aveva un fidanzato, proveniente anche lui da una famiglia mafiosa, che ha sempre disapprovato ciò che ha portato avanti.
Io sono Rita: le parole di Graziella Proto
Una delle tre anime del libro, che ha speso l’intera esistenza nell’attivismo antimafia, la quale ha condotto come presentazione un lungo discorso. Le autrici, dopo 30 anni, hanno deciso di riscrivere la storia, chiedendo anzitutto la riapertura del fascicolo per attingere alle informazioni. Dagli archivi emerge che, rispetto a quanto Rita Atria conosceva, Matteo Messina Denaro era coinvolto. Infatti nel fascicolo è presente un’audiocassetta con la sua voce. Il libro, infatti, ricostruisce la storia di 30 anni di mafia della valle del Belice, compresi pure Partanna e Castelvetrano. Una zona ancora fortemente arretrata nonostante il boom economico dei primi anni ’60. Vi erano ancora bambini/e che morivano di denutrizione; il terremoto del 1968 ha affossato ulteriormente la situazione. Un contesto, quindi, in cui era facile il proliferare della mafia, con ricatti e false promesse.
Arrivano fiumi di denaro da parte dello Stato per la ricostruzione, ma ancora la gente viveva nelle baracche. C’era un’alternativa per chi voleva dissociarsi dalla mafia e creare bellezza. Danilo Dolci e Lorenzo Barbera portano avanti un progetto di ricostruzione economica attraverso la non violenza. A Partanna dominava la famiglia Accardo, il cui capo Stefano stringeva accordi con il sindaco democristiano. Un uomo che ha ispirato fiducia ad altri mafiosi, tanto che Totò Riina, per divenire capo di Cosa Nostra si è rivolto a lui. A Partanna vi era un altro gruppo mafioso capeggiato da Don Ciccio; Don Vito, padre di Rita Atria, faceva da “paciere”. Questi a modo suo risolveva le controversie, promettendo favori in cambio di estorsioni di denaro a chi vi si rivolgeva. Elargiva questi favori rubando o facendo rubare; si prendeva licenze che non gli spettavano, un arrampicatore sociale.
La svolta nella vita di Rita Atria
I capi mafia non si esponevano direttamente, commissionavano “picciotti” per i reati, i quali finivano uccisi. Quando Don Vito muore ammazzato, Rita si lega al fratello, affiliato anche lui alla criminalità organizzata ma sprovveduto. Questi gli racconta tutti i segreti della mafia locale, informazioni preziose che in seguito la ragazza dichiarerà. Pure il fratello rimane ucciso e a questo punto Rita resta sola. La madre, impazzita per il dolore della perdita del figlio le è ostile perché ella decide di rivolgersi allo Stato. Presa dalla rabbia, Rita cercava vendetta. Rivelando ciò che sapeva, era in pericolo a Partanna, così la spostano a Roma. Stringe un forte rapporto di amicizia con Paolo Borsellino, vedendolo come una figura paterna.
Nell’arco di otto mesi, dal novembre 1991, momento del trasferimento, al luglio 1992, Rita Atria cambia completamente mentalità. Accetta che padre e fratello erano a loro volta mafiosi, ma adesso cerca giustizia contro un potere forte che opprime l’esistenza di troppe persone.
Graziella Proto in Io sono Rita pone il dubbio sul suicidio della ragazza. Vari presupposti fanno esitare rispetto a questo, anzitutto le sue dichiarazioni contro un potere forte hanno fatto arrestare molti mafiosi. Inoltre degli elementi, come la saracinesca abbassata, pongono altri interrogativi. Una ragazza abbandonata due volte. La prima dalla famiglia, cioè la madre, ancora con la mentalità omertosa, che la ripudia in quanto divenuta testimone di giustizia. La seconda dallo Stato, perché non le fornisce un adeguato supporto morale con figure professioniste che le stavano accanito. Il sottotitolo del libro è Rita Atria: la settima vittima di via D’Amelio. La morte di Borsellino le lascia un senso di vuoto completo e lei scomparve una settimana dopo.
Io sono Rita, altre considerazioni
Interviene Dora Bonifacio, la quale sostiene che qualunque cosa accedeva a Partanna denotava l’arretratezza socio-culturale. Ella paragona la vita di Rita Atria a quella di Lea Garofalo, entrambe donne provenienti da famiglie mafiose, estrapolate da questo contesto e abbandonate. Solo nel 2018 entra in vigore una legge che tutela le donne testimoni di giustizia. Rita, a Roma, a parte la cognata Piera Aiello, non aveva legami e soprattutto era senza tutela. C’è la propensione a riaprire il caso, indagare se è stato davvero un suicidio o no. Vi è una sostanziale differenza tra collaboratore e testimone di giustizia. Il primo è incriminato e si espone per sconti penali; l’altro è una cittadino che, se si esprime, è a rischio.
Eliana Rasera sostiene che oggigiorno la mafia è più tecnologica e subdola rispetto a prima. Domenico Stimolo afferma che Rita Atria rappresenta l’altra compagine della lotta antimafia che ispira l’Italia, assieme a lei Peppino Impastato. Entrambi giovani e provenienti da famiglie mafiose di cui si sono ribellati. La criminalità organizzata è radicata nelle istituzioni, parlarne solo come una realtà a sé è fortemente riduttivo.
Io sono Rita costituisce un libro che scuote, da cui affiora il coraggio di una ragazza che si oppone a un potere infestante, prima con la rudezza e la reattività, poi con la consapevolezza. Scoprire che il padre e il fratello, miti per lei, erano anche loro mafiosi è stato duro, ma Rita è andata fino in fondo.